Respinto il ricorso dei congiunti di una vittima di incidente stradale che chiedevano, per il risarcimento del danno non patrimoniale, l’applicazione delle tabelle milanesi vigenti al momento della decisione d’appello

Con l’ordinanza n. 13269/2020 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dai congiunti di una vittima di incidente stradale che avevano citato in giudizio il proprietario e l’assicuratore della r.c.a. del veicolo che, secondo l’ipotesi accusatoria, aveva provocato il sinistro, chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

In primo grado il Tribunale aveva accolto la domanda, condannando l’assicuratore a pagare alla madre la somma di 260.000 euro, e a ciascuno dei fratelli la somma di 134.000 euro. La Corte di appello aveva confermato la responsabilità esclusiva dei convenuti elevando a 275.000 euro il risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla madre, tenuto conto dell’invalidità psichica patita dalla donna in conseguenza della morte del figlio.

I parenti avevano tuttavia deciso di ricorrere per cassazione lamentando, tra l’altro, che la Corte d’appello avesse liquidato il danno non patrimoniale applicando le tabelle milanesi “vigenti” al momento del verificarsi del danno, invece che al momento della liquidazione. A loro avviso, se il Collegio territoriale avesse applicato le ultime tabelle disponibili diffuse dal Tribunale di Milano al momento della decisione d’appello, i danneggiati avrebbero “avuto diritto” ad una liquidazione maggiore, dal momento che quelle tabelle prevedevano quale massimo ristoro a favore della madre della vittima di incidente la somma di 327.900 euro, ed a favore dei fratelli la somma di 142.420 euro, ben maggiori di quelle liquidate.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il motivo del ricorso inammissibile.

Gli Ermellini hanno argomentato che, per la stima del danno non patrimoniale da uccisione d’un prossimo congiunto, in mancanza di criteri legali, da molti anni gli uffici giudiziari di merito hanno concepito criteri standard, al fine di rendere omogenee e prevedibili le decisioni. Tra questi criteri, larga diffusione ha avuto quello adottato dal Tribunale di Milano. Questo criterio consiste nello stabilire ex ante la misura del risarcimento in base alla natura del vincolo che legava la vittima ed il congiunto superstite (coniugio, filiazione, maternità, ecc.). Per ciascun tipo di vincolo parentale è prevista una somma variabile tra un minimo ed un massimo, molto divaricati tra loro. La scelta del risarcimento concretamente dovuto nel caso specifico è rimessa alla valutazione equitativa del giudice.

Un sistema che lascia al giudice la facoltà di scegliere il risarcimento ritenuto equo tra un minimo ed un massimo molto distanti tra loro è – sottolineano dal Palazzaccio –  nella sostanza, un sistema equitativo puro, con l’unico temperamento del divieto di scendere al di sotto, o salire al disopra delle soglie tabellari.

In un sistema equitativo puro, lo stabilire se la misura del risarcimento più adatta a ristorare il danno nel caso concreto sia quella minima, quella media o quella massima prevista dalla “tabella” è una valutazione di puro fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

Nel caso di specie, la “tabella” della cui mancata applicazione i ricorrenti si dolevano prevedeva, quale risarcimento dovuto al genitore per l’uccisione d’un figlio, una somma variabile da un minimo di 163.990 ad un massimo di 327.990 euro. La Corte d’appello, dunque, aveva fatto correttamente riferimento, per la liquidazione del danno non patrimoniale, alla tabella diffusa dal Tribunale di Milano e non aveva violato il principio per cui, nella liquidazione del danno non patrimoniale, occorre fare riferimento alla tabella più recente in uso al momento della decisione, poiché l’importo liquidato era compreso nel range previsto dalla tabella in uso al momento della decisione.

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