Il segretario nazionale Palermo in occasione dell’8 marzo: evitare che la crescita delle donne in sanità sia derubricata a semplice fenomeno di costume

“Nella sanità italiana le donne sono già maggioranza tra i nuovi medici.  Entro tre anni lo saranno in tutta la popolazione professionale considerata l’accelerazione dei pensionamenti che produrrà la cosiddetta “quota 100”. Così il segretario nazionale Anaao Assomed, Carlo Palermo, in occasione delle ricorrenza dell’8 marzo.
Per il rappresentante sindacale, tuttavia, si tratta di un fenomeno numerico che, però, “tarda a tradursi in proposte strategiche delle organizzazioni, comprese quelle professionali e sindacali, che recepiscano esigenze e legittimi interessi di categorie professionali in rapida mutazione”.
“La crescita delle donne medico – commenta Palermo –  porta domande, ancora senza risposte, sulla organizzazione del lavoro e su modelli di cura in grado di recuperare i valori professionali ed i tempi di vita. E, forse, richiede un rovesciamento del paradigma paritario con la valorizzazione della differenza, che, lungi dal penalizzare le donne, le avvantaggi nel lavoro di cura globale riguardante la relazione, la riproduzione, gli affetti, il rispetto della persona e del mondo”.
“In un momento storico condizionato dagli economisti – aggiunge –  ed in un clima poco adatto ai medici, ad una maggioranza di donne che lavora in sanità toccherà occupare i posti che rimarranno dopo l’esodo di massa verso la quiescenza e dopo le fughe dal pubblico verso il privato di clinici poco attratti dagli ospedali. In un Paese che da decenni non ha più voluto governare la salute, delegata da tutti a modelli aziendalistici, con i principali attori, i medici in preda ad una crisi identitaria, in cui le problematiche “di genere” si aggiungono alle generali condizioni in cui operano. Senza sapere più come è e come sarà questo lavoro, nell’ambito dell’epocale cambiamento che si profila, con ospedali che si assottigliano fino a scomparire, con chi sogna una medicina senza medici, con i contratti di lavoro destinati ai musei della postmodernità. E come sarà la formazione a questo lavoro che rischia di perdere la sua ragione sociale e che cosa verrà trasmesso alle generazioni successive”.
“Il cambiamento necessario – conclude Palermo – richiede certo tempo, ma soprattutto politiche che lo assumano come necessità per trasferire una visione di genere nei contratti di lavoro, nelle leggi, nella prassi, ed evitare che la crescita delle donne in sanità sia derubricata a semplice fenomeno di costume. La sostenibilità della sanità pubblica passa anche per la capacità di tenere insieme la galassia delle esigenze e delle aspettative, di lavoro e di “genere”, dei professionisti con quelli del Servizio Sanitario Nazionale e compiutamente interpretare e rappresentare i cambiamenti e le nuove domande che l’avanzare delle donne in sanità esprime”.
 
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