Le condotte, eseguite “senza alcuno scrupolo nei confronti di una persona più fragile e indifesa, in maniera reiterata e continuata” sono idonee a determinare un effetto destabilizzante e lo stato di ansia nella vittima (Corte di Cassazione, VI penale, sentenza 27 maggio 2025, n. 19714).
Gli atti persecutori
La persona offesa aveva conosciuto all’età di 23 anni, mentre soffriva di anoressia, l’uomo di trent’anni più grande di lei, che millantava influenti amicizie nella magistratura, nelle forze dell’ordine e nel clero, nei confronti del quale aveva sviluppato una profonda soggezione psicologica, subendo sotto minaccia soprusi fisici e violenze sessuali. Mai disposto a lasciare libera la donna, l’uomo in questione, avvalendosi di altri 2 soggetti, aveva molestato la vittima, avendola fatta pedinare per tenerla sotto controllo e renderle così la vita impossibile.
I 3 suddetti soggetti, nel pedinare continuamente la vittima, avevano compiuto atti persecutori nei suoi confronti cagionandole un grave stato di ansia, di paura, e un fondato timore per la propria incolumità che la costringeva a modificare le proprie abitudini di vita.
La Corte di appello di Reggio Calabria ha assolto l’imputato dal reato ascrittogli, per non aver commesso il fatto.
Il parere della Cassazione
L’imputato sostiene che entrambi i Giudici del merito avrebbero ritenuto pedinata la persona offesa con una Fiat Panda di colore bianco, mentre dalla prova cartolare, allegata al fascicolo del dibattimento, si evincerebbe che l’imputato è stato sempre proprietario, prima e dopo il 2016, di macchine di colore nero.
L’imputato lamenta, anche, che la Corte avrebbe ritenuto attendibile la persona offesa, nonostante fosse stata smentita da un teste della pubblica accusa e non fosse stata ritenuta credibile per le dichiarazioni rese in danno del coimputato assolto in primo grado. Peraltro, altro teste avrebbe escluso che la persona offesa fosse stata pedinata da alcuno e alla caserma dei Carabinieri di Rizziconi la persona offesa non aveva riferito di essere stata pedinata.
Il ricorso dell’imputato M.L. è fondato. Il ricorso dell’altro imputato F.R.D. è inammissibile.
La valutazione di attendibilità della persona offesa
Partendo dalle censure mosse dall’imputato ML, cui è stata censurata la ritenuta attendibilità della vittima, viene ricordato che costituisce orientamento consolidato quello secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cpp, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, che possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto.
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, sottolineando che la parte civile era “pienamente credibile sotto il profilo soggettivo e oggettivo” e che delle sue qualità, personali ed intellettive, non vi era alcun motivo di dubitare. Il narrato della stessa, oltre ad apparire congruente, risultava caratterizzato dai connotati soprattutto di coerenza e spontaneità, non emergendo la configurabilità di alcun interesse specifico a calunniare il ricorrente né alcun elemento obiettivo dal quale inferire che le dichiarazioni accusatorie fossero state determinate da acrimonia o rapporti di inimicizia tali da giustificare intenti diffamatori, peraltro non dimostrati, ma neppure specificamente indicati, dalla difesa”.
Ergo, nessun vizio inficia la valutazione di attendibilità della persona offesa, compiuta dal Giudice di secondo grado
La Corte di appello ha posto a fondamento del giudizio di responsabilità per gli addebiti mossi al ricorrente le dichiarazioni del tutto attendibili della parte civile. In particolare, la persona offesa aveva riconosciuto M.L. come il soggetto che nel 2016 l’aveva più volte seguita nel tragitto tra casa e lavoro, e diverse sere l’aveva trovato sotto casa, fermo all’Interno della propria auto.
A fronte di tali argomentazioni, appare chiaro che le deduzioni di ML sono tese a sollecitare una rilettura delle prove acquisite nel giudizio di merito, e ciò è precluso alla Corte di Cassazione.
Lo stato d’ansia della vittima
Le condotte, eseguite “senza alcuno scrupolo nei confronti di una persona più fragile e indifesa, in maniera reiterata e continuata”, poste in essere dall’imputato in concorso anche con altri due soggetti, erano idonee a determinare un effetto destabilizzante nella vittima.
È invece fondato l’ultimo motivo del ricorso di ML
A fronte di un reato contestato con una precisa indicazione della data di cessazione della condotta illecita (novembre 2016), la pena sospesa non poteva essere subordinata, atteso che la previsione di cui all’art. 165, comma quinto, cp, è stato introdotto dall’art. 6, comma 1, della legge 19 luglio 2019 n. 69 e, dunque, successivamente ai fatti.
Ne consegue che la sentenza impugnata viene annullata senza rinvio nei confronti di M.L. limitatamente alla subordinazione condizionale della pena allo svolgimento di percorso di recupero, che va eliminata.
Avv. Emanuela Foligno
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