Raffrontare matematicamente le chance di sopravvivenza originarie e quelle residue (dopo l’errore medico) non ha alcun senso perché il nocumento causato non è da ravvisare nella perdita di chance, ma nella morte. Ciò che rileva è che ove la condotta dei sanitari fosse stata conforme alle leges artis con alta probabilità logica il paziente sarebbe sopravvissuto (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 18 maggio 2025, n. 13169).
I fatti
La moglie e la figlia del paziente citano in giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, deducendo che il decesso del loro congiunto era imputabile ai sanitari.
Il paziente viene ricoverato per una macroematuria, nonostante dalla scheda anamnestica emergesse che, tre mesi prima, era stato operato per una disseccazione aortica, con inserimento di protesi meccanica. I medici avevano omesso di diagnosticare tempestivamente e trattare adeguatamente la dissezione dell’aorta toracica e dell’aorta addominale.
Per queste motivazioni, la moglie e la figlia del paziente citano in giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, deducendo che il decesso del loro congiunto era imputabile ai sanitari.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Pisa (sentenza n. 280/2018), ritiene sussistenti sia l’inadempimento dell’Azienda ospedaliera, sia il nesso causale tra la malpractice e il decesso del paziente. Inoltre riconosce la fondatezza della domanda di manleva proposta dall’Azienda nei confronti di Carige Assicurazioni (ora Amissima assicurazioni), condannando quest’ultima a pagare direttamente alle danneggiate il danno non patrimoniale iure proprio per oltre cinquecentomila, non riconosciuto, invece, quello non patrimoniale iure proprio e quello, patrimoniale e non, iure hereditatis, nonché i due terzi delle spese di lite, compensando il residuo terzo.
Propongono appello sia Amissima assicurazioni, sia l’Azienda Sanitaria Ospedaliera Pisana e, a sua volta, appello incidentale Amissima nel giudizio di gravame instaurato dall’Azienda. Il secondo grado respinge l’appello di Amissima e quello dell’Azienda Ospedaliera. Viceversa, accoglie l’appello dell’Azienda Ospedaliera nei confronti di Amissima assicurazioni, condannando l’assicuratore a tenere indenne l’assicurato da quanto eventualmente pagato agli eredi sia a titolo risarcitorio che per spese di lite e di CTU, nonché a corrispondere all’Azienda ospedaliera le spese sostenute per la propria difesa in primo grado.
Il ricorso in Cassazione
Amissima assicurazioni ha proposto ricorso per cassazione.
Denunzia che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza di un giudicato esterno tra la Compagnia e l’Azienda Ospedaliera in tema di estinzione delle obbligazioni della Compagnia per intervenuto esaurimento del massimale aggregato previsto nel contratto di assicurazione per il periodo nel quale ricade il sinistro oggetto del giudizio. Nello specifico, la Corte di appello, respingendo l’eccezione di esaurimento del massimale sollevata dalla medesima Compagnia, non avrebbe tenuto conto del giudicato esterno formatosi con sentenza n.1757/2017 pronunciata da altra sezione della medesima Corte di appello di Firenze che, viceversa, aveva accolto detta eccezione in un giudizio tra le stesse parti, in relazione al medesimo contratto, per il medesimo periodo di vigenza della polizza n. 1205/2006 (giudizio conclusosi con declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale proposto dall’Azienda Ospedaliera della Corte di cassazione con ordinanza n. 11598/2020).
Due giudizi con le stesse parti
La Cassazione richiama il principio secondo cui “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo” (Cass. Sez. U., 16/06/2006 n. 13916).
Difatti, il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) fa stato ad ogni effetto tra le parti per l’accertamento di merito positivo o negativo del diritto controverso, e si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che rappresentano le premesse necessarie ed il fondamento logico e giuridico della pronuncia, con effetto preclusivo dell’esame delle stesse circostanze in un successivo giudizio, che abbia gli identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la causa petendi ed il petitum.
La perdita di chance di sopravvivenza
Nella fattispecie qui a scrutinio si discute della domanda di manleva per il pagamento dovuto per un sinistro specifico che entra nel thema decidendum della manleva e segna la causa petendi della domanda stessa e quindi non può formarsi un giudicato esterno rispetto a diverso sinistro che postula un diverso pagamento e un diverso accertamento sulla franchigia.
La Corte d’appello ha correttamente escluso la fondatezza dell’eccezione di giudicato esterno sollevata da Amissima assicurazioni, rilevando che la precedente sentenza n. 1575/2017 della Corte di appello di Firenze “aveva infatti ad oggetto le medesime parti e la medesima polizza, ma una diversa situazione giuridica soggettiva, avente diverso petitum e diversa causa petendi, in quanto relativa ad altro sinistro”, e osservando che “proprio perché il giudicato esterno non riguarda i meri fatti storici, opera solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità, non solo di parti, ma anche di petitum e di causa petendi, si deve escludere che in questo giudizio possa spiegare effetti l’accertamento del superamento del massimale”
Con separata censura l’assicurazione lamenta anche che la Corte d’appello avrebbe erroneamente imputato il decesso del paziente alla struttura sanitaria convenuta, benché dalla CTU espletata fosse emerso che i sanitari avrebbero cagionato una diminuzione delle chances di sopravvivenza e benché la parte attrice non abbia chiesto il ristoro di tale pregiudizio.
La condotta omessa avrebbe verosimilmente consentito la sopravvivenza del paziente
Invero, la Corte d’appello ha espressamente escluso sulla base della CTU che vi sia stata una mera riduzione di chances di sopravvivenza del paziente per effetto dell’acclarata condotta omissiva del personale sanitario, affermando, viceversa, che “la mala gestio ha causato la morte del paziente, perché la condotta omessa ne avrebbe verosimilmente consentito la sopravvivenza”.
Sul punto la Cassazione fa una importane osservazione, ovverosia: raffrontare matematicamente le chances di sopravvivenza originarie e quelle residue (dopo l’errore medico) non ha alcun senso posto che il nocumento causato non è da ravvisare nella diminuzione di chance, ma nella morte: ciò che rileva è che ove la condotta dei sanitari fosse stata conforme alle leges artis con alta probabilità logica il paziente sarebbe sopravvissuto.
L’aspetto liquidatorio della perdita di chance
Difatti, in tema di lesione del diritto alla salute da responsabilità sanitaria, la perdita di chance a carattere non patrimoniale consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale conseguente – secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario ed integra evento di danno risarcibile soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente.
Nel caso in esame, la Corte di appello non ha ritenuto che potesse trattarsi di evento incerto ed eventuale chance come esistenza di un’incerta – ma seria concreta e apprezzabile – possibilità di vivere per un lasso temporale ancora più lungo rispetto ad una percentuale del 70% di sopravvivenza, in presenza dell’accertamento della condotta colposa eziologicamente certa rispetto all’evento.
Ha ritenuto, al contrario – in ragione delle condizioni particolarmente compromesse del paziente, il quale aveva avuto una dissecazione dell’aorta solo tre mesi prima e sulla base di quanto accertato dalla CTU, che pur parlando di sopravvivenza ha posto in evidenza la probabilità di perdita anticipata della vita – e che il paziente si sarebbe potuto “salvare con una probabilità del 70%” e che ne sarebbe stata scongiurata la morte “con una probabilità del 55%”.
Ebbene, si osserva che sia la Corte di appello che la Cassazione stanno percorrendo la scia di legittimità tracciata di recente che ha chiarito l’aspetto liquidatorio della perdita di chance, e ribadiscono il concetto che deve innanzitutto essere separato il caso di possibilità di vivere per un lasso di tempo più lungo rispetto alla percentuale di sopravvivenza, da quello di perdita anticipata della vita.
Il ricorso viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno