Buca non segnalata provoca il decesso del motociclista

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Il motociclista perde la vita a causa di una buca non segnalata sulla strada, profonda e non visibile. Tribunale e Corte d’Appello escludono la responsabilità del Comune proprietario della strada. La Corte di Cassazione, invece, ribalta le decisioni di merito (Cassazione Civile, sez. III, 17/02/2024, n.1882).

La vicenda

Il Tribunale di Tivoli ha rigettato la domanda del coniuge della vittima nei confronti del Comune di Fonte Nuova e della Italiana Assicurazioni Spa, chiamata in manleva, per il sinistro avvenuto il 23 febbraio 2015, alle ore 21.50 circa, nel Comune di Fonte Nuova, ritenendo la esclusiva responsabilità del motociclista.

La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Roma che ha ammesso la CTU cinematica con cui si accertava:

  • che la vittima viaggiava il 23 febbraio 2015, d’inverno, in orario notturno (ore 21.50), a bordo del motoveicolo Yamaha ad una velocità di 65 km/h, in un tratto stradale nel quale il limite consentito era pari a 50 km/h;
  • che il tratto stradale in questione era caratterizzato da una scarsa illuminazione pubblica e da un manto stradale con evidenti ammaloramenti, fessurazioni e cedimenti localizzati;
  • che un adeguato comportamento della vittima avrebbe evitato il sinistro; che quindi la condotta tenuta dalla vittima aveva interrotto il nesso eziologico tra la cosa e il danno, integrando, così, gli estremi del caso fortuito idonei ad escludere ogni responsabilità del Comune di Fonte Nuova.

La Corte di Cassazione ribalta le decisioni di merito

La ricorrente, erede della vittima, lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 c.c. e 1227 c.c., in relazione alla mancata prova del caso fortuito e all’errata applicazione del paradigma dell’art. 2043 c.c; motivazione manifestamente ed irriducibilmente, illogica e contraddittoria; erroneo esercizio del prudente apprezzamento della prova in relazione alle opposte risultanze della CTU.

Nello specifico, viene posta l’attenzione alla parte in cui la Corte di merito avrebbe omesso l’esame dell’esatta distanza tra la buca non segnalata e la posizione statica del motociclo che in sentenza è stata descritta in “oltre una decina di metri di distanza dalla buca rilevata dai Carabinieri” rispetto alla posizione statica di quiete del motorino, mentre la distanza era stata accertata in metri 15,30.
Denuncia, inoltre, il travisamento della prova, l’erronea sussunzione del fatto concreto rispetto alla fattispecie dell’art. 2051 c.c., nonché le apodittiche presunzioni che hanno portato ad una irriducibile illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza del caso fortuito e in merito alla inversione dell’onere probatorio; a conforto della propria tesi richiama l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in merito al comportamento colposo del danneggiato.

Le censure sono fondate

La Corte d’Appello di Roma ha richiamato numerose massime in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., ed in particolare sulla rilevanza del comportamento del danneggiato in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, a mente del quale “la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma primo, cod. civ., richiede una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.

La velocità del veicolo

Inoltre, sulla base di quanto emerso dalla istruttoria compiuta (CTU cinematica ammessa ed esperita in secondo grado), la Corte d’Appello ha ritenuto che la velocità tenuta dalla vittima alla guida del motoveicolo non fosse rispettosa del limite di velocità previsto per quel tratto stradale e non adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, in violazione delle disposizioni dell’art. 141 del codice della strada e che dal fatto che la stessa vittima risultava abitare in un Comune limitrofo rispetto a quello ove accadde il sinistro (distante circa 10 Km), si potesse presumere che egli fosse a conoscenza delle pessime condizioni di quel tratto stradale, essendo fatto notorio che da tempo la strada in questione fosse dissestata e priva di illuminazione pubblica.
Ragionando in tal senso la Corte di merito ha ritenuto (come il Giudici di primo grado) la sussistenza della esimente del caso fortuito, integrato dal fatto colposo del danneggiato in dipendenza della mancata osservanza del “dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa” e della evitabilità dell’evento dannoso.

Ebbene, tale motivazione è errata perché il ragionamento posto alla base è illogico e contraddittorio.

La Corte d’Appello attribuisce alla condotta “gravemente imprudente ed incauta” della vittima l’esclusiva efficienza causale, affermando apoditticamente: “sulla evitabilità dell’evento dannoso, ove l’infortunato avesse tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza” ossia avesse adottato “le cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze“, senza logicamente spiegare in che termini l’imprudente ed incauto comportamento del conducente il motoveicolo consentisse di elidere integralmente la pur emersa responsabilità del custode, essendo fatto notorio che da tempo la strada in questione fosse dissestata e priva di illuminazione pubblica.

Il giudizio suddetto ha attribuito all’art. 2051 c.c. un contenuto che non possiede ed inoltre non risultano presenti elementi gravi, precisi e concordanti che facciano presumere, come invece affermato, che la vittima conoscesse lo stato dei luoghi.

Difatti, a più riprese la S.C. ha affermato che in tema di responsabilità per cosa in custodia, l’incidenza causale (concorrente o esclusiva) del comportamento del danneggiato presuppone che lo stesso abbia natura colposa, non richiedendosi, invece, che sia anche abnorme, eccezionale, imprevedibile e inevitabile.

Nella fattispecie esaminata, si rileva la illogicità e la radicale contraddittorietà del ragionamento perché attribuisce rilievo causale esclusivo alla condotta colposa della vittima, senza spiegare, avuto riguardo a quanto emerso dalla CTU, che la causa dell’abbattimento al suolo della vittima era riconducibile alla buca non segnalata e non visibile, molto profonda (ed estesa in senso longitudinale, nonché attestata sulla traiettoria di normale percorrenza dei mezzi di transito), che anche con una minore velocità di guida, la caduta del mezzo, o quanto meno lo sbandamento, avrebbe avuto comunque luogo, e se, una manovra emergenziale posta in atto dal conducente, avrebbe potuto evitare l’evento fatale.

La S.C. accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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