Consenso all’esecuzione di esame diagnostico, in specie risonanza magnetica, non correttamente fornito (Tribunale di Brindisi, Sentenza n. 1532/2021 del 22/11/2021 RG n. 753/2016).

Consenso all’esecuzione di esame diagnostico: non venivano indicate alla paziente le possibili interazioni derivanti dell’esame strumentale di RMN in portatore di dispositivo vescicale.

In particolare, l’attrice riferisce di essere stata sottoposta ad un esame di risonanza magnetica nonostante la sua opposizione in quanto portatrice di un elettrostimolatore vescicale e senza avere espresso il proprio consenso all’esecuzione di detto esame diagnostico.

A causa della RMN eseguita, il dispositivo avrebbe smesso di funzionare, con la conseguente necessità per la paziente di sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico eseguito a Bari, per la sua rimozione e sostituzione.

Il Tribunale ritiene la domanda parzialmente fondata.

Preliminarmente viene evidenziato che non risulta provato, neppure secondo lo standard probatorio proprio del regime della causalità civilistica del ” più probabile che non “, che la sostituzione dell’elettrostimolatore vescicale portato dalla donna sia stata resa necessaria a seguito dell’esecuzione dell’esame di RMN, all’origine del malfunzionamento del dispositivo.

Si legge nella CTU: “In aprile 2005 è stata diagnosticata una ” ritenzione urinaria ” e nel luglio successivo, è stata impiantato un neuromodulatore sacrale. Risale ad otto anni dopo, il 25 febbraio 2013, il ricovero di Brindisi, invece, con una diagnosi di ammissione di “lombosciatalgia destra “, nel corso del quale è stata eseguita dapprima una TAC e successivamente una RMN ; un mese dopo, poi, la paziente è stata sottoposta ad un intervento di rimozione e sostituzione del neuromodulatore sacrale. Va chiarito preliminarmente che alcun elemento istruttorio consente di ritenere che il ricovero di Brindisi sia stato programmato, trattandosi di un accesso da Pronto Soccorso per una lombosciatalgia da ” failed back surgery “, ovvero da postumi dell’intervento subito nel 2002 ad ernia discale L4 -L5 . L’istruttoria non ha dimostrato che la causa del malfunzionamento del neuromodulatore sia attribuibile all’esecuzione dell’esame diagnostico in data 30 marzo 2013 . In primo luogo, appare rilevante che dalla cartella infermieristica e dal foglio del bilancio idrico si evince che la paziente già nei giorni precedenti il 30 marzo, ovvero dal 23 al 29 gennaio 201 3 accusò ” grosse difficoltà alla minzione” . In cartella si evidenzia infatti che appena due giorni dopo il ricovero, ovvero il 25 gennaio, si rese necessario il posizionamento di un catetere vescicale, che il 26 gennaio, su disposizione del primario, fu iniziata la ginnastica vescicale, cui seguì il clampaggio del catetere, con risposta negativa allo stimolo , ripetutasi anche il 27 gennaio; nel diario del 29 gennaio è annotata anche una ” ritenzione urinaria acuta “, si riporta la dichiarazione della paziente di aver avuto a casa, prima del ricovero, un blocco renale e che tanto rese necessaria una consulenza nefrologica ed un lavaggio vescicale tramite catetere.”

Il CTU ha chiarito che “i problemi di ritenzione vescicale sono del tutto compatibili,  con l’usura del dispositivo impiantato otto anni prima, a fronte di una “vita” media dell’apparecchio di circa 6 -7 anni: il che avrebbe reso in ogni caso necessario il ricovero per la sostituzione del neuromodulatore sacrale”.

Diversamente da quanto affermato dal CTU, afferma il Giudice, non si può ritenere che l’esito del controllo del 5 febbraio successivo, invece, quando ” si prova a riprogrammare l’elettrodo per stimolazione vescicale con il tecnico ” sia stato positivo : è evidente che la dicitura riportata non può far propendere per un corretto funzionamento dello strumento .

Il dato che può evincersi è che il neuromodulatore risultava funzionante all’indomani dell’esecuzione dell’esame di risonanza magnetica, mentre necessitava di una riprogrammazione il giorno 5 febbraio 2013, ovvero qualche giorno più tardi.

La scansione temporale degli eventi descritti è incompatibile con l’ipotesi di un malfunzionamento del dispositivo causato dall’esame di risonanza magnetica eseguito il 30 marzo 2013: per un verso, infatti, la paziente aveva accusato una grave ritenzione e l’assenza di stimolo alla minzione già dai primi giorni di ricovero; per altro, due giorni dopo l’esecuzione dell’esame, il neuromodulatore risultava regolarmente funzionante. Una spiegazione plausibile del malfunzionamento del dispositivo e della necessità della sua sostituzione, come confermata dal personale sanitario del Policlinico di Bari, sembra essere l’usura del dispositivo, impiantato ben otto anni prima, con la conseguente compromissione della funzione di continua trasmissione dell’impulso elettrico.

Sul mancato consenso all’esecuzione dell’esame diagnostico, il Tribunale osserva che “sebbene quello alla salute e quello al consenso informato costituiscano diritti diversi, appare evidente come essi si compenetrino a vicenda, tanto da poter ricollegare alla mancata informazione anche un pregiudizio alla salute “.

Ebbene, la violazione del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: a) un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente – sul quale grava il relativo onere probatorio – se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti); b) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale.

La modulistica prodotta in giudizio, e riferibile al consenso all’esecuzione della RMN,  non reca la firma della paziente. Il questionario è compilato con l’apposizione di una croce sul “no” a tutti i quesiti relativi alla storia clinica della paziente ed all’impianto di eventuali dispositivi; nessuna indicazione è stata aggiunta in ordine alla presenza del neuromodulatore sacrale, sebbene tale informazione sia presente altrove in cartella clinica.

Conseguentemente risulta provato il danno non patrimoniale, come conseguenza della mancata informazione e consenso all’esecuzione dell’esame, circa le possibili interazioni fra l’esecuzione della risonanza magnetica e la presenza del dispositivo impiantato otto anni prima nella vescica della donna.

Per tale ragione viene ritenuto provato il pregiudizio subito dall’attrice, conseguente all’omesso consenso all’esecuzione dell’esame strumentale, e la relativa liquidazione del danno viene determinata equitativamente nell’importo di euro 7.000,00.

Avv. Emanuela Foligno

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