Corresponsabilità dei medici e incomprensibilità della sentenza

0
incomprensibilità-della-sentenza

La lunghissima decisione prescelta a commento tratta di importanti temi sul giudizio di corresponsabilità dei 5 medici intervenuti nella vicenda, sul riverbero della rinuncia all’azione nei confronti degli altri coobbligati e sulla chiarezza e incomprensibilità della sentenza di secondo grado (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 31 marzo 2025, n. 8492).

Citati davanti al Tribunale di Locri, l’ASL n. 9 di Locri ed i dottori C.A., M.F., A.G., Pa.P., B.A.A., P.G., I.P.M. e S.F., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza della morte del paziente, avvenuta il 4 febbraio 1992, presso l’Ospedale di Locri (ove lo stesso era ricoverato, già dalla sera del I febbraio 1992, a seguito di forti dolori addominali, vomito e febbre) per asserita colpa medica dei sopraindicati sanitari dell’Asl.

La vicenda giudiziaria

Con sentenza parziale n. 133 del 14 marzo 2002 il Giudice adito dichiarò “estinta, per rinuncia, l’azione” nei confronti dei dottori P., I. e S., dando atto in motivazione:

  • a) della “rinuncia alla domanda” e del fatto che, essendo stata tale rinuncia accettata, “sia l’attrice che i convenuti sopra indicati… [avevano] concluso per ottenere la dichiarazione di estinzione del processo nei loro confronti ai sensi dell’art. 306 c.p.c.”.
  • b) della mancata proposizione di domande di rivalsa da parte degli altri convenuti, la cui opposizione alla detta declaratoria venne dunque disattesa per difetto di interesse.

Con sentenza definitiva n. 580 del 29 dicembre 2011, il Tribunale di Locri rigetta la domanda nei confronti di uno dei medici, di M.F., e la accoglie invece nei confronti degli altri 4 medici e dell’ASP n. 5 di Reggio Calabria, condannandoli in solido al risarcimento dei danni, liquidati in 247.551,60 euro.

Tutti e 4 i medici si rivolgono alla Corte di appello che accoglie in parte i ricorsi incidentali dei dottori PA e MF.

I giudici di secondo grado rigettano la domanda risarcitoria svolta nei confronti del dottor PA, ritenendo che egli si fosse limitato all’assistenza in sede operatoria e non avesse svolto funzioni in fase preoperatoria o postoperatoria (fasi nelle quali, secondo la Corte, si erano verificate le condotte colpose che avevano concorso a causare l’evento). Inoltre riconoscono la corresponsabilità del dottor BAA per il decesso, invariato il resto.

L’intervento della Cassazione

Il dottor CA si rivolge alla Corte di Cassazione, cui seguono i ricorsi incidentali degli altri medici.

Sul ricorso principale del dottor CA sostiene, tra le tante, essere stata erroneamente interpretata la rinunzia all’azione svolta nei confronti di due medici inizialmente chiamati a giudizio. Detta rinunzia comporterebbe la graduazione delle colpe di tutti i coobbligati.

Il ricorso incidentale del dottor MF lamenta la omessa valutazione delle risultanze delle CTU svolte in primo e secondo grado che, a suo die, avrebbero confermato l’assenza di responsabilità, Invece è stata affermata con una motivazione di poche righe, assumendo che il ritardo diagnostico a lui attribuibile “non fu né breve né irrilevante”, senza però valutare né confutare le reali motivazioni del CTU, il quale aveva evidenziato che, sebbene in ritardo (ritardo che, secondo il ricorrente, “nella prospettiva della perizia…[era] evidentemente addebitabile alla condotta dei precedenti sanitari”), egli fu il primo e unico tra i sanitari a porre la giusta diagnosi, che portò all’intervento chirurgico di splenectomia”.

Con le altre censure viene sostanzialmente sostenuta la violazione dei principi relativi all’imputazione della responsabilità e il discostamento dalle CTU.

La S.C. ritiene interamente fondato il motivo proposto dal MF, lo sono invece solo parzialmente quelli dell’AG e del BAA.

Sulla responsabilità. Come detto il dottor C, cui la doglianza viene respinta, lamenta la violazione dei principi di responsabilità sanitaria.

L’incomprensibilità della sentenza di secondo grado

La sentenza impugnata si connota per la mancanza di sintesi e per l’uso di una tecnica redazionale che ne rende assai faticosa la lettura a causa di uno stile verboso, di un periodare lungo e interrotto da frequenti frasi incidentali, del continuo rimando ad altri capoversi. Ciò, tuttavia, non impedisce di cogliere la ragione posta a fondamento del confermato giudizio di responsabilità medica a carico del dottor C.

Il ragionamento dei Giudici di appello è del tutto comprensibile e idoneo a giustificare il giudizio di responsabilità, anche su fondamento extracontrattuale. In sostanza, quanto lamentato dal dottor C indurrebbe, inammissibilmente, la S.C. a una rivalutazione dei fatti che è prerogativa dei Giudici di merito.

I Giudici di merito, nella valutazione della responsabilità del dottor M. hanno commesso un duplice errore

Il primo, per aver accolto una domanda (quella del dottor B., volta ad accertarne la responsabilità in funzione di un eventuale successivo regresso ex art. 2055 cod. civ.) che, secondo quanto dalla stessa Corte evidenziato; tuttavia si tratta di una domanda nuova inammissibile in appello.

Il secondo, per aver fatto seguire all’accoglimento della domanda del B. una statuizione di condanna in solido del M. al pagamento dell’importo risarcitorio sarebbero incorsi in vizio di extrapetizione dal momento che il rapporto interno risultava definito con il rigetto della domanda nei confronti, statuizione non impugnata dalla attrice.

Ed ancora, riguardo alla CTU, essa viene invocata quale fonte, disattesa, di una diversa valutazione cica la sussistenza dei presupposti di un addebito di colpa per negligenza o imprudenza, negata dal consulente e invece ritenuta dalla Corte d’appello.

Ebbene, nella CTU si legge (in risposta alla valutazione secondo cui “il M., sebbene egli pure tardivamente, aveva comunque effettuato la giusta diagnosi della patologia di cui il G. stava soffrendo): e tuttavia… tale ulteriore ritardo (di certa ascrivibilità al nominato sanitario) non fu: né breve, in quanto di circa 5 h; né irrilevante, perché durante il suo corso ebbe a verificarsi il terzo (ed ultimo, dunque certamente esiziale) episodio di shock a detrimento del paziente”.

La valutazione tiene conto dei fatti

Non si tratta, dunque, di una valutazione che non tenga conto di “fatti” accertati dal CTU, ma al contrario essa riprende un dato evidenziato proprio dal Consulente, solo però da questo ritenuto, peraltro immotivatamente a quanto consta, recessivo ai fini della complessiva valutazione della condotta professionale rispetto al fatto che, seppure in ritardo, il dottor M. fu il primo ad effettuare una corretta diagnosi e ad attivare gli appropriati protocolli.

I Giudici di appello hanno considerato che il giudizio positivo che doveva darsi sulla condotta del medico per l’effettuazione di una finalmente corretta diagnosi, non valeva ad elidere la circostanza che questa intervenne comunque dopo un ulteriore non breve intervallo temporale dal momento in cui il dottor M. subentrò nella gestione del caso, né valeva ad elidere la rilevanza concausale a tale ritardo attribuibile.

Altre censure dei dottori A e B. Non è corretta la posizione della loro responsabilità, come valutata: le motivazioni del Giudice di appello non sono coniugabili tra di loro.

Tali motivazioni sono sorrette dalla seguente affermazione la CTU del dottor R. (sia nella prima relazione, sia in quella “integrativa”) … riferiva che: “Se ne dovrebbe desumere che sono tutte considerazioni tratte dalla consulenza e solo riferite in sentenza per costituire il fondamento della decisione assunta”.

La difficile lettura della sentenza

All’interno di tale elencazione, però, alcuni periodi si distinguono per un maggiore rientro grafico, con il che sembra volersi evidenziare che essi rappresentano piuttosto delle valutazioni proprie, il che è confermato anche dal contenuto che non si coordina con le frasi precedenti. Tale parte della motivazione comincia con il descrivere i valori clinici registrati dopo l’intervento, le condizioni del paziente e i trattamenti praticati. Vengono quindi riferiti i contrastanti pareri espressi dai CC.TT.PP. e dai CC.TT.UU. nominati nel procedimento penale; viene riferita infine la valutazione del CTU, prof. R, cui fa seguito una breve replica alle considerazioni critiche svolte dalla difesa del dottor B.

È in tali due ultimi capoversi che si concentra la motivazione sul punto addotta, ma proprio essi rivelano una struttura argomentativa oscura se non intrinsecamente contraddittoria. L’incomprensibilità della sentenza impedisce di cogliere la ragione della decisione.

“secondo la CTU …. unica censura prospettabile a carico del detto reparto… [n.d.r.: quello della rianimazione post-operatoria] era consistita nel non aver provveduto alla doverosa profilassi del relativo rischio mediante somministrazione ad infusione lenta di eparina onde evitare ii possibile insorgere di trombo-embolia, come avvenuto, anche se, essendo stata questa di tipologia massiva, il decadimento dello stato fisico poteva opinarsi esser stato così rapido da non permettere una corretta diagnosi differenziale con il semplice shock cardiogeno, non permettendo ai sanitari di tentare la mobilizzazione del trombo quantomeno a livello farmacologico”.

L’incertezza su quale sia stato l’addebito ascritto ai medici

Subito dopo si legge però questo secondo periodo, ben distinto dal primo da un più marcato rientro grafico: “di contro, in proposito, si rileva come, per la gestione del rischio (assai elevato) di CID che nell’occorso era presente – trattandosi di un’emorragia grave, localizzata all’addome e tale da aver imposto una chirurgia in urgenza (anche se oltremodo tardiva) – non già d’eparina si sarebbe dovuto trattare – essendo questa utile in forme a lenta evoluzione e senza sanguinamento evidente – bensì di trasfusione, oltre che di plasma, anche e soprattutto di concentrati piastrinici e di crioprecipitati per determinare l’aumento del livello del fibrinogeno e d’eventuale ossigenoterapia (che non furono però praticate, né prima dell’intervento operatorio né dopo)”.

Tale considerazione, non solo per la descritta scelta grafica, ma anche per la frase che la introduce (“di contro, in proposito, si rileva…”), non è certamente riferibile al CTU ma piuttosto costituisce una evidente tesi ricostruttiva diversa e in contrasto con quella accolta dal Consulente.

Ne emerge, conclusivamente, una irresolubile incertezza su quale sia stato l’addebito ascritto ai medici che hanno gestito la fase postoperatoria e soprattutto su quali ne siano le basi istruttorie.

Giova anche rimarcare che l’alternativo addebito della mancata somministrazione ad infusione lenta di eparina, indicato dal CTU come unico possibile rimprovero all’operato dei medici del reparto di rianimazione, non può assumersi neppure per implicito quale chiaro e comprensibile fondamento motivazionale non solo perché esplicitamente non condiviso dalla Corte di merito ma anche perché rispetto ad esso non trovano alcuna risposta i rilievi critici mossi nel giudizio di appello dalle difese dei ricorrenti incidentali.

Il rinvio alla Corte di Appello

In accoglimento dei detti motivi, la sentenza impugnata viene cassata, con rinvio, nella parte in cui conferma la responsabilità dei dottori A. e B.

Il Giudice di rinvio dovrà riesaminare il tema di lite predetto valutando, sulla base degli elementi istruttori acquisiti, e considerati i rilievi critici dei consulenti di parte, alla luce, se lo riterrà, anche di nuova CTU, se nel contesto descritto e considerati gli antecedenti causali nonché le condizioni cui il paziente era giunto all’intervento e alla fase immediatamente successiva, fosse praticabile e consigliabile un trattamento diverso da quello effettivamente praticato e quale eventualmente esso fosse (se la somministrazione di eparina ad infusione lenta o la trasfusione di plasma, concentrati piastrinici e di crioprecipitati o altro ancora).

In sintesi: è interamente fondato il motivo proposto dal dottor M., lo sono invece solo parzialmente quelli del dottor A. e del dottor B. In effetti nessuno dei medici sopra indicati aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettato la domanda nei confronti del dottor M., né egli aveva proposto appello incidentale, tanto meno coinvolgente la posizione di alcuno di essi. Non era dunque ravvisabile alcuna soccombenza nel rapporto tra il dottor M. e ciascuno dei predetti che ne potesse giustificare la condanna alle spese del grado.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui