Si tratta della storia di una giovane donna di meno di 37 anni la quale, affetta da un linfoma di Hodgkin, è stata curata per più di un anno per eczema da svariati dermatologi. Dopo aver “subito” una diagnosi di linfoma, è stata trattata come cavia da esperimento da ematologi che hanno effettuato, senza informare la paziente, chemioterapie sperimentali conducendola a morte dopo un ulteriore anno di via Crucis.

Gli eredi, dopo aver aperto il sinistro con tutti i dermatologi e le due strutture che hanno mal curato il linfoma del familiare, hanno presentato un ricorso 696bis al tribunale di uno dei convenuti per tentare una conciliazione.

Il ctu ematologo nominato fuori regione ha redatto una egregia relazione (che si allega) individuando con precise conclusioni le colpe di ogni convenuto ed effettuando una precisa distribuzione di responsabilità in termini di causazione del decesso che poteva essere evitato con una più professionale e diligente presa in carico della paziente.

Qui si riportano le conclusioni medico legali del consulente di parte attrice e si rimanda alla ctu per una più approfondita analisi della storia e delle colpe dei sanitari:

“…Da quanto fin qui detto, appare chiaro che la morte della sig.ra SL sia sopraggiunta dopo un lungo calvario, corollato da continue speranze disilluse, fino alla consapevolezza che nulla era più possibile.

Tale catena di eventi è stata sicuramente determinata dalla mancata diagnosi da parte dei dermatologi che hanno tolto alla paziente la possibilità di guarigione (infatti la prima visita dermatologica effettuata dalla paziente avvenne in data 09.06.2010, ma la diagnosi di Linfoma di Hodgkin venne posta solo nel luglio del 2011). Oltre al ritardo diagnostico, gli errori commessi dai dermatologi e il perpetrare un’errata chemioterapia, del tutto sperimentale attuata dopo viziata informativa della paziente hanno condotto al decesso la stessa in data 26 luglio 2011.

In definitiva possiamo riassumere i profili di colpa dei sanitari come segue:

 1)        Grave imperizia e negligenza da parte dei dermatologi che per circa 1 anno hanno avuto in cura la paziente, per non essere stati in grado di porre la diagnosi e nemmeno di farsi venire il dubbio diagnostico nonostante le varie terapie a cui sottoponevano la paziente non portassero a nessun miglioramento del quadro clinico;

2)         Grave negligenza ed imprudenza degli Ematologi di X e Y per aver sottoposto la sig.ra S. a terapie sperimentali senza ottenere dalla paziente un consenso veramente informato. Tale aspetto da solo costituisce un illecito grave sia deontologico che giuridico che giustifica non solo una adeguata sanzione disciplinare, ma un adeguato risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure hereditatis oltre che ad un risarcimento iure proprio dei congiunti della defunta L.

 3)        Ritenendo necessaria la distribuzione delle colpe tra i dermatologi e gli ematologi si può riassumere quanto segue:

  1. A) Una precoce diagnosi differenziale da parte dei dermatologi almeno 6 mesi prima della effettiva diagnosi del Luglio 2011 avrebbe permesso la cura del Linfoma prevenendo il maggior accrescimento della massa tumorale mediastinica. Il tutto si traduce in “mancato raggiungimento di un risultato in quanto una adeguata chemioterapia secondo i protocolli Nazionale ed internazionali avrebbe quasi certamente permesso la guarigione clinica del Linfoma: in altre parole i dermatologi ha tolto circa il 30% della chance di guarigione della paziente (secondo dati statistici e di esperienza del reparto di Ematologia del Policlinico XX);
  2. B) La imprudente e negligente chemioterapia effettuata afinalisticamente in più cicli dagli ematologi dell’Ospedale di NN hanno ridotto di un ulteriore 40% le chance di sopravvivenza della sig.ra S.;
  3. C) La non deontologica e negligente perseveranza di cura sperimentale effettuata dagli ematologi del NM hanno azzerato le rimanenti chance di sopravvivenza che comunque erano ancora serie e apprezzabili.”

 Non si ritiene che ci sia nulla da aggiungere se non che c’è da riflettere sull’umanità persa di certi sanitari.

 Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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