La paziente lamenta lesione del nervo femorale destro ed errato posizionamento del catetere in un primo intervento. La Cassazione le riconosce il danno biologico differenziale per la caduta durante il ricovero, per un maldestro intervento del personale (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 13 marzo 2025, n. 6647).
L’iter clinico
La paziente ha subito un primo intervento chirurgico di artro-protesi, il 5 aprile del 2012, durante il quale è stata causata una lesione del nervo femorale destro. Inoltre, l’errato posizionamento del catetere ha provocato incontinenza urinaria.
A causa di ciò, la donna è più volte caduta. È dunque servito un ulteriore intervento, e poi una riabilitazione presso una Casa di Cura, dove però la paziente è caduta nuovamente durante il ricovero, per un maldestro intervento del personale, con conseguente necessità di un ennesimo intervento chirurgico da cui è definitivamente risultato un accorciamento della gamba sinistra di circa 3.5. cm.
I giudizi
In ragione di ciò, la donna ha eseguito due ATP, poi riuniti, a seguito dei quali ha agito, davanti al tribunale di Trento, sia nei confronti della Azienda Sanitaria di Trento che della Casa di Cura.
Il Giudice di Trento ha escluso responsabilità della Azienda sanitaria, mentre ha ritenuto responsabile la Casa di Cura per la caduta e la conseguente frattura del femore, riconoscendo alla paziente un risarcimento di 67.418,84 euro.
La donna propone appello che viene integralmente rigettato e la vicenda finisce in Cassazione.
In sintesi viene lamentata errata interpretazione della CTU medico-legale e che entrambe le decisioni di merito siano state rese da Giudici non togati.
Riguardo la seconda censura, non si potrebbe affidare in appello la decisione ad un Giudice onorario se la causa, anche in primo grado, è stata decisa da un Giudice a sua volta non togato. Secondo la danneggiata, ammesso che i Giudici onorari possano far parte di collegi, o essere chiamati a decidere, in monocratico, le controversie civile – nei limiti stabiliti dalla Corte Costituzionale – resta il fatto che la decisione della causa può essere affidata al Giudice onorario solo in un grado di giudizio, non in entrambi i giudizi di merito. Non può cioè darsi il caso che sia il primo che il secondo grado siano decisi da un Giudice onorario.
Giudici onorari e giudici togati
La doglianza non ha fondamento in quanto rappresenterebbe una applicazione analogica di una norma prevista per l’appello delle decisioni del Giudice di Pace ad ogni altro caso, compreso quello presente. Ma la ratio non è la medesima: nel caso delle decisioni del Giudice di Pace, l’appello va normalmente ad un giudice monocratico del Tribunale, e dunque il legislatore ha avvertito l’esigenza che la causa non venga decisa, in entrambi i gradi, da Giudici onorari.
Invece, quando la decisione è resa, come in questo caso, in primo grado da un Giudice onorario, l’appello va ad un collegio, in cui, è vero, che può essere presente e può capitare che faccia da estensore un Giudice onorario, ma è altresì vero che è pur sempre il collegio a decidere.
Dunque: nel primo caso, trattandosi di due giudizi monocratici, la legge ha voluto evitare che la decisione sia assunta, sia nell’uno che nell’altro grado, esclusivamente da Giudici onorari: questa esigenza non si presenta invece nel caso in cui la decisione di primo grado è assunta da un Giudice onorario, ma quella di appello da un collegio, in cui può essere anche estensore il giudice onorario, ma in cui la decisione è pur sempre collegiale, con la conseguenza che, in questo secondo caso, non si verifica l’ipotesi, che il legislatore intende scongiurare, di due giudizi decisi esclusivamente da giudici onorari.
La contestazione sulla valutazione della CTU incompleta
Venendo alle avanzate contestazioni sulla incompleta valutazione della CTU, secondo la danneggiata non si sarebbe tenuto conto di un dato emerso dalla istruttoria. Il CTU, infatti, aveva ritenuto che dalla condotta dei sanitari dell’ospedale, nel primo intervento, fosse derivato un danno che si aggiungeva alle condizioni di salute già precarie.
La Azienda sanitaria aveva contestato la natura differenziale di tale danno (ossia di un danno che, aggiungendosi alle condizioni pregresse, fa la differenza, aggiunge una differenza) ma non aveva contestato che comunque un danno iatrogeno vi fosse.
Invece, il Giudice di appello ha disatteso, senza adeguata motivazione, entrambe queste risultanze, nonostante dalla consulenza risultava che l’intervento aveva provocato una lesione del femore, la quale incideva per 1/3 circa della invalidità permanente. In più punti della consulenza il CTU, secondo la ricorrente, ha ritenuto che l’intervento avesse prodotto un danno iatrogeno, dovuto ad una lesione del nervo femorale, peraltro ammessa dalla Azienda sanitaria.
Anche queste doglianze vengono respinte.
Secondo la CTU l’intervento non ha portato alcun danno
Ebbene, la ratio della decisione impugnata ha ritenuto che non si è trattato di lesione vera e propria, se intesa quest’ultima come recisione del nervo, quanto piuttosto di un semplice stiramento, ossia una stupefazione, risoltasi poi in breve tempo, senza lasciare conseguenze, avendo la donna ripreso la deambulazione di prima.
I Giudici di appello, inoltre, hanno ritenuto, sulla scorta della CTU, che tale stupefazione è nell’ordine delle conseguenze normali in casi di intervento cosi invasivo e delicato come quello subito dalla donna, considerate anche le sue condizioni pregresse.
Dunque, la concreta ratio della decisione impugnata è che, secondo lo stesso CTU, l’intervento chirurgico non ha comportato alcun danno, ma una situazione temporanea poi risoltasi, da considerarsi complicanza normale dell’intervento e dunque non colpevole.
Venendo, infine, all’errato posizionamento del catetere, che avrebbe provocato incontinenza urinaria, secondo la ricorrente, il CTU avrebbe detto il contrario, o qualcosa di diverso da quanto scritto in sentenza ed attribuito al consulente: il CTU aveva cioè ritenuto che quella incontinenza fosse l’esito dell’intervento chirurgico, invece, i Giudici di merito hanno attribuito al CTU l’opinione contraria.
Anche questa doglianza non ha fondamento.
Da quanto riportato dalla stessa ricorrente, il CTU ha escluso responsabilità dei chirurghi quanto alla incontinenza urinaria, in quanto mancano elementi certi di giudizio per chiarire le cause e le ragioni, e i contorni di quel danno. Dunque, non c’è alcuna mancanza nella motivazione dei Giudici di merito nel punto in cui essi ritengono che il CTU ha escluso responsabilità, proprio perché tale è stato il giudizio del consulente, dopo avere ipotizzato diverse cause della incontinenza, ammette come probabile che possa essere conseguenza dell’intervento, ma, pur ipotizzando tale causa come verosimile, poi precisa che mancano gli elementi per dirlo.
Il danno biologico differenziale
Per quanto attiene alla riconosciuta responsabilità in capo alla Casa di Cura per la frattura del femore, riconosciuta dal Tribunale, la paziente si duole del fatto che non è stata ritenuta la natura differenziale del danno e dunque non è stata fatta la conseguente liquidazione.
La censura è fondata.
Difatti, il danno causato dalla caduta nella Casa di Cura, è pacificamente stato accertato come danno biologico differenziale, ossia come un danno che fa la differenza aggiungendosi ad una lesione della salute già esistente (per via di una concausa umana o naturale).
Il danno biologico differenziale si liquida in base ai criteri della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., convertendo la percentuale di invalidità ascritta all’agente sul piano della causalità materiale e quella non imputabile all’errore medico in somme di denaro, per poi procedere a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del potere discrezionale del Giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto.
Questo significa che non viene meramente svolta una differenza tra percentuali di invalidità attribuibili all’una o all’altra causa, ma operando la differenza sul piano monetario.
Il ricorso viene accolto in questi termini e la decisione cassata con rinvio.
Avv. Emanuela Foligno