Errata esecuzione di interruzione di gravidanza: esclusa la colpa grave

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invalida dopo la gravidanza

La Corte d’Appello ha errato nel considerare le linee guida della sola fase dell’intervento chirurgico e non le fasi successive (Cassazione Penale, Sez. IV, sentenza n. 11719 depositata il 29/03/2021)

La Corte d’Appello di Bologna riformava la sentenza di condanna in primo grado a carico del Medico Ginecologo, quale imputato del delitto di lesioni personali colpose, dichiarandolo non punibile ai sensi del D.L. n. 158 del 2012, art. 3 (decreto Balduzzi) e revocando le statuizioni civili di cui alla sentenza di primo grado. L’imputato era accusato, in qualità di medico ospedaliero, di errata esecuzione di interruzione di gravidanza su paziente alla 13 settimana di gestazione, per aver adottato in tale frangente una tecnica inappropriata, cagionando alla donna la persistenza intrauterina di residui trofoblastici abortivi, che venivano definitivamente asportati solo il 10 settembre 2012, con conseguente danno biologico.

Il Giudice di merito, pur riconoscendo la natura colposa della condotta del Medico escludeva che potesse parlarsi di colpa “grave”, ravvisando unicamente profili di colpa lieve sotto la specie dell’imperizia e della negligenza e individuandoli nell’incompleta esecuzione dell’intervento, benché quest’ultimo fosse stato correttamente eseguito.

Inoltre, veniva esclusa la presenza di difformità rispetto alle linee guida dell’intervento in relazione all’errata esecuzione di interruzione di gravidanza.

In forza di ciò, ed in applicazione dell’allora vigente disciplina introdotta dal D.L. n. 158 del 2012, convertito con modifiche nella L. n. 189 del 2012 (legge Balduzzi), veniva escluso il raggiungimento del grado di colpa penalmente rilevante (essendo noto che in base all’art. 3, comma 1, della legge citata, “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”), la Corte di Bologna ha ritenuto non punibile l’imputato, revocando conseguentemente le statuizioni civili disposte in primo grado a suo carico.

La paziente, parte civile costituita, ricorre in Cassazione contestando l’esclusione della colpa grave in capo al Medico, essendosi limitata la Corte ad analizzarne la condotta nel corso dell’operazione, omettendo invece di considerare sia il c.d. curettage della gravità intrauterina (detto altrimenti “raschiamento”), sia la successiva visita ginecologica con esplorazione manuale.

Ambedue queste azioni, osserva la ricorrente, sono state evidentemente poste in essere in modo grossolanamente negligente, tanto é vero che la notte dopo l’intervento, veniva espulso l’intero feto e che, successivamente, venivano rinvenuti residui trofoblastici.

Preliminarmente gli Ermellini evidenziano in capo alla parte civile, la sussistenza di un interesse concreto e attuale a ricorrere, in vista del conseguimento di un risultato per essa vantaggioso.

Ciò posto, al fine di distinguere la colpa lieve dalla colpa grave, possono essere utilizzati i seguenti parametri valutativi della condotta tenuta dall’agente:

a) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi;

b) la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente;

c) la motivazione della condotta; d) la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa.

Più di recente, si è ulteriormente specificato che nel giudizio sulla gravità della colpa deve tenersi conto anche della natura della regola cautelare violata, in quanto l’eventuale natura elastica della stessa, indicando un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, incide sulla esigibilità della condotta doverosa omessa, richiedendo il previo riconoscimento delle stesse da parte dell’agente.

Nel caso concreto, valutata la qualificazione professionale dell’imputato e la natura routinaria dell’intervento, le conseguenze lesive a carico della paziente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere conto di tutte le singole azioni affidate al Ginecologo nel caso specifico.

In particolare, la Corte avrebbe dovuto considerare non solo l’intervento di interruzione volontaria della gravidanza in sé considerato, ma tutte le attività di controllo che ne sono seguite, e, dunque, l’esecuzione del curettage (che evidentemente, alla luce di quanto emerso in seguito, andava approfondita a cura dei giudici dell’appello, posto che dalle deposizioni dei CTU risulta evidente la finalità di eliminazione dei residui presenti nell’utero), ed anche la successiva visita di controllo con esplorazione manuale.

L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale il perimetro degli addebiti dev’essere circoscritto a quanto accaduto “nel corso di intervento di interruzione volontaria della gravidanza”, abbraccia, invero, l’intera attività del Medico collegata all’esecuzione dell’intervento e dunque non può valere ad escludere, dalla valutazione della condotta tenuta dall’imputato, né il curettage , né le attività di controllo espletate sulla stretta attività operatoria.

Difatti è proprio la negligenza dell’imputato nella fase di controllo che ha prodotto ulteriori effetti dannosi sulla paziente, che costituiscono a loro volta conseguenza delle modalità esecutive dell’intervento.

Al riguardo il Collegio ribadisce che “ il riferimento complessivo all’intera attività del sanitario correlata all’intervento oggetto di addebito non può certo integrare una contestazione qualificabile come fatto nuovo o come fatto diverso ai fini dell’art. 521 c.p.p. e determinare un’interferenza sull’esercizio del diritto di difesa: é noto infatti che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa.

Per tale ragione, coglie nel segno la doglianza della ricorrente inerente l’analisi delle linee guida unicamente con riguardo alla stretta fase dell’intervento di interruzione volontaria della gravidanza, senza alcun riferimento alle fasi successive.

Tale aspetto è dirimente poiché il grado della colpa assume rilievo potenzialmente scriminante solo allorquando l’esercente la professione sanitaria si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; non anche quando se ne sia discostato.

In conclusione la sentenza impugnata viene annullata agli effetti civili e rinviata per nuovo giudizio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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