Secondo i consulenti della Procura la gestione del paziente, morto dopo due giorni di degenza ospedaliera nel 2020, sarebbe stata connotata da errori diagnostico-terapeutici idonei ad introdurre profili di responsabilità per negligenza, imprudenza ed imperizia

La condotta dei sanitari “appare connotata da errori diagnostico-terapeutici idonei ad introdurre profili di responsabilità per negligenza, imprudenza ed imperizia”. Sono le conclusioni dei consulenti incaricati dalla Procura di Catanzaro di effettuare gli accertamenti peritali sulla scomparsa di un uomo di 60 anni, morto nell’aprile del 2020 in un nosocomio di provincia dopo una degenza ospedaliera di 2 giorni. Secondi gli esperti – come riporta il Quotidiano del Sud – il decesso sarebbe da ricondurre a un “grave scompenso cardiaco e fibrillazione ventricolare”; una diagnosi – si specifica – “espressa con criterio di probabilità ma non di certezza dal momento che l’esame autoptico, che ha consentito la estrazione ed interrogazione del dispositivo cardiologico, non ha consentito l’esame dell’encefalo che era in preda ad avanzati fenomeni putrefattivi”.

L’inchiesta della magistratura era stata avviata in seguito all’esposto presentato dai familiari della vittima. Il Pubblico ministero titolare del fascicolo aveva disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e la riesumazione della salma per lo svolgimento dell’autopsia. In vista degli esami post mortem erano stati iscritti nel registro 7 medici, ovvero il primario e l’equipe del reparto di medicina interna del nosocomio coinvolto, che avevano avuto in cura il paziente.

La diagnosi in uscita della vittima, secondo la documentazione della struttura sanitaria sarebbe stata: TIA, cardiopatia ischemica, diabete mellino ID, portatore di PM. Per i consulenti tecnici, dunque, alla luce dei riscontri effettuati, risulterebbe “omesso il corretto percorso diagnostico finalizzato a monitorare la nota insufficienza cardiaca, l’acidosi metabolica ed attuare una corretta azione terapeutica e porre indicazione al corretto luogo di cura”.

Tuttavia, a fronte di tale condotta e di altre omissioni evidenziate nella perizia, gli esperti – riferisce ancora il Quotidiano del Sud – hanno anche affermato che: “Applicato al caso concreto un ragionamento di tipo contro fattuale, considerato il grave quadro patologico di base – della vittima – non si può affermare, con criterio di certezza o di elevata probabilità ad essa prossima, che, se la condotta dei Sanitari che ebbero il paziente in affidamento e cura fosse stata diligente, prudente e perita, e nello specifico fosse stata corretta la glicemia, fosse stata avviata la diagnostica cardiologica clinica, strumentale e di laboratorio, fossero stati monitorati i parametri vitali e i valori emogasanalitici, fosse stata richiesta la consulenza rianimatoria, fosse stata attuata una diversa terapia della insufficienza cardiaca e la tempestiva terapia della acidosi metabolica, l’evento morte non sarebbe intervenuto”.

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