Esposizione all’amianto e decesso del lavoratore per mesotelioma pleurico (Tribunale Vicenza,  n. 217/2022 del 26/07/2022).

Esposizione all’amianto per cause lavorative e decesso del lavoratore per mesotelioma pleurico.

Gli eredi del lavoratore deceduto invocano il risarcimento dei danni assumendo la natura professionale della malattia che l’ha determinata e la responsabilità della datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c.

In particolare, allegano che il lavoratore aveva svolto mansioni di falegname, aggiustatore meccanico, addetto alla bonifica dell’amianto e alla manutenzione.

Sostengono che il congiunto ha subito esposizione all’amianto dalla metà degli anni 90 e che la datrice di lavoro non ha adottato le misure di prevenzione necessarie ad evitare il pericolo per la salute del dipendente, in violazione dell’obbligazione di sicurezza prevista dall’art. 2087 c.c.

Il Tribunale ritiene la domanda fondata.

La CTU ha consentito di accertare che il defunto era affetto da mesiotelioma pleurico, patologia provocata dall’esposizione all’asbesto, con sopravvivenza a lungo termine rara e che “le tabelle delle malattie di origine lavorativa, di cui al DM 27.4.2004, hanno inserito il mesiotelioma pleurico tra i tumori professionali provocati dall’esposizione all’amianto. I dati della letteratura scientifica mettono poi in evidenza l’incremento del rischio di mesiotelioma tra gli addetti al servizio ferroviario, in particolare tra coloro che hanno svolto le stesse mansioni del lavoratore e, per questo, hanno subito una rilevante esposizione all’amianto.”

La CTU ha evidenziato, inoltre, “la malattia è insorta il 14.6.2018, ciò con riferimento alla documentazione sanitaria esaminata, che ha messo in evidenza come la patologia fosse già in stato avanzato quando è stata scoperta. Sulla base dei dati sanitari, da cui emerge che il periziato venne sottoposto a intervento chirurgico già nel mese di agosto 2018, due mesi dopo la prima diagnosi, il danno biologico temporaneo può essere stimato nella misura media dell’80% dalla data della comparsa della patologia fino al decesso”.

Conseguentemente viene ritenuto accertato il rapporto causale tra la patologia e la morte del lavoratore. Ciò posto, in punto di responsabilità del datore di lavoro viene ribadito quanto statuito dalla Suprema Corte : ” l’imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico – scientifiche, è u no dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro”.

Va considerato, sul punto, che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, mentre sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (cfr. Cass.24742/2018).

L’esposizione del defunto all’amianto nel corso dell’attività lavorativa emerge dai documenti allegati e inerenti il procedimento di ATP promosso dal lavoratore prima del decesso.

Viene pertanto affermata la responsabilità della datrice di lavoro per la malattia contratta a seguito dell’esposizione all’amianto.

Il danno jure hereditatis dei ricorrenti viene risarcito attraverso i parametri predisposti dalle tabelle milanesi, nel loro aggiornamento del 2021,  addivenendo per i primi 100 giorni a euro 125.000,00.

Per la liquidazione del danno dei successivi 300 giorni, viene utilizzato il criterio del triplo della misura di liquidazione del danno biologico da invalidità temporanea, che la CTU ha stimato nell’80%, addivenendosi all’importo di euro 80.000,00.

Dall’importo complessivo di euro 205.000,00, viene detratta la somma di euro 11.296,41, riconosciuta dall’INAIL per lo stesso titolo, residuando euro 194.000,00.

Per il danno jure proprio da perdita del rapporto parentale, alla moglie viene liquidato l’importo di euro 240.000,00 e in favore di ciascuno dei figli l’importo di euro 190.000,00.

Avv. Emanuela Foligno

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