Il danno da lesione del rapporto parentale non si inserisce in una dimensione “clinica”

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I familiari della vittima si vedono rigettare la domanda risarcitoria per danno da lesione del rapporto parentale. Ma la Suprema Corte cassa la decisione della Corte di Appello. (Cassazione civile, sez. III, 28/08/2024, n.23300).

La vicenda

La congiunta, il 5 settembre 2008, di rientro dal lavoro, subiva un grave incidente stradale, riportando danni fisici con postumi di invalidità permanente del 38%. Ella, infatti, a seguito dell’immissione, sulla strada che stava percorrendo, di un veicolo proveniente da un passo privato ubicato sulla destra (automezzo del quale non si avvedeva tempestivamente, essendo la sua visuale coperta a causa della fitta vegetazione a margine della strada), dopo aver sbandato andava a collidere contro un albero, per poi terminare la propria corsa in un fossato.

Nel corso del giudizio di primo grado l’assicurazione veniva autorizzata a chiamare il proprietario del fondo confinante con la strada teatro dell’incidente, in ragione del contributo che, nella causazione del sinistro, avrebbe avuto l’incuria della vegetazione presente sul suo terreno, ostruendo la visuale della vittima. Interveniva volontariamente in giudizio anche INAIL, al fine di esercitare l’azione di surrogazione ex art. 1916 cc nei confronti dei convenuti, chiedendo il rimborso delle prestazioni assicurative erogate alla donna quale vittima di infortunio “in itinere”, nella misura indicata in €343.138,57, oltre interessi e rivalutazione.

L’esito del primo grado di giudizio, sul presupposto dell’accertata responsabilità del conducente del veicolo nella misura dell’80%, il restante 20% essendo posto a carico della stesa vittima, con esclusione di ogni responsabilità del proprietario del terreno, consisteva nell’accoglimento della domanda risarcitoria proposta nei riguardi dei convenuti, condannati a risarcire anche il danno da lesione del rapporto parentale. I giudici accolgono anche la domanda di rivalsa dell’INAIL, nell’importo dalla stessa richiesto.

La Corte di appello rideterminava nella misura del 50% il concorso colposo della vittima, rigettava la domanda risarcitoria dei due congiunti riguardante la lesione del rapporto parentale e rideterminava nella minor somma di €46.987,00, l’importo dovuto all’INAIL.

L’intervento della Cassazione

I congiunti della vittima si rivolgono alla Suprema Corte per la cassazione della sentenza n. 836/21, del 14 aprile 2021, della Corte d’Appello di Bologna, che accogliendo il gravame esperito dall’assicurazione, ha statuito il rigetto della domanda risarcitoria per lesione del rapporto parentale.

I familiari della donna deceduta sostengono che i Giudici di appello avrebbero errato nell’omettere di considerare che dalla gravità della lesione e dalla pacifica convivenza tra i congiunti avrebbe dovuto evincersi la fondatezza del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale subìto e chiesto iure proprio, trattandosi di pregiudizio non biologico che può essere provato con ogni mezzo, ivi compresa la prova presuntiva, tipicamente integrata dalla gravità delle lesioni e dalla convivenza familiare. Sostengono che nel caso di gravi lesioni personali ad un prossimo congiunto, l’esistenza stessa del rapporto parentale deve far presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare, in quanto tale conseguenza è, per comune esperienza, connaturale all’essere umano.

La Cassazione accoglie il ricorso dei familiari.

È ormai pacifico che ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato da lesione del rapporto parentale, in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso.

Tale pregiudizio si traduce in un patema d’animo e in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto non accertabili con metodi scientifici e può essere accolto in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità.

La Corte di Appello ha sbagliato a negare il danno da lesione del rapporto parentale

La Corte di appello, pertanto, ha sbagliato a negare il danno da lesione del rapporto parentale invocato dai congiunti (che invece aveva riconosciuto il primo grado), sostenendo che “sono stati chiesti e riconosciuti in favore del marito e del figlio non in forza di un accertamento medico”, bensì “in virtù di “un generico richiamo astratto a “sofferenze psichico-morali e lesioni di diritti costituzionalmente garantiti a tutela della famiglia”, occorrendo, per contro, “la prova di un effettivo pregiudizio biologico e psicologico iure proprio, quale conseguenza del sinistro incorso alla moglie/madre”.

Il ragionamento è errato perché inserisce il danno da lesione del rapporto parentale in una dimensione “clinica” che non gli appartiene perché tale posta risarcitoria può derivare indifferentemente, “sia da una sofferenza d’animo”, sia “da una perdita vera e propria di salute”, sia, “da una incidenza sulle abitudini di vita”.

Al riguardo la Cassazione ricorda che sia il danno da lesione del rapporto parentale, sia la perdita del rapporto parentale produce delle ripercussioni nel “vissuto” del congiunto che, sebbene non assurgono a vera e propria compromissione della sua integrità fisiopsichica, meritano egualmente ristoro, perché apprezzabili come “sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo”, ovvero “in termini dinamico-relazionali”, per l’incidenza che quella lesione ha avuto “sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto” interessato (in tal senso viene richiamata Cass. 11 novembre 2019, n. 28989).

Si tratta, dunque, di danni che possono essere dimostrati per presunzioni, fra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto.

La S.C. cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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