Il figlio, alla data della introduzione della domanda (aprile 2020), non aveva ancora 22 anni e frequentava la facoltà di Farmacia presso l’Università di Torino. I suoi genitori erano divorziati. Il giovane era andato a vivere da solo ma, prima, aveva vissuto insieme ai due fratelli, con la madre e il secondo marito di quest’ultima, dal quale la donna aveva avuto un’altra figlia. A favore della madre era stato previsto un contributo al mantenimento del figlio che, poi, il padre aveva corrisposto direttamente a quest’ultimo, con una decisione poi ratificata dal Tribunale.
Il mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 665/2023, accoglieva integralmente la domanda introdotta nell’aprile 2020 dal figlio nei confronti della di lui madre, estendendo il contraddittorio al padre, e per l’effetto condannava quest’ultima a corrispondere al figlio, con decorrenza dal mese di maggio 2020, a titolo di contributo al mantenimento, l’assegno di Euro 900,00 mensili, oltre rivalutazione Istat, e al 50% delle spese mediche non coperte dal S.S.N., scolastiche, sportive e ricreative necessitate o previamente concordate e successivamente documentate, con applicazione in caso di disaccordo del Protocollo in uso. Lo stesso Tribunale disponeva, altresì, che il padre continuasse a versare al figlio l’assegno di 1082 euro mensili oltre rivalutazione Istat e oltre al 50% delle spese straordinarie.
La Corte di appello di Torino, revocando la condanna della madre a corrispondere al figlio a titolo di contributo al mantenimento l’assegno di 900 euro mensili, oltre rivalutazione Istat, confermando solo l’obbligo della stessa di corrispondere al figlio il 50% delle spese mediche non coperte dal SSN, scolastiche, sportive e ricreative, necessitate o previamente concordate e successivamente documentate.
I Giudici di appello hanno ritenuto che il figlio frequentasse regolarmente la facoltà di Farmacia e quindi si stesse attivando per conseguire la laurea. Dopo aver ricondotto l’obbligo di mantenimento del figlio alle obbligazioni “sostanzialmente alimentari”, rilevava, tuttavia, che, nel costituirsi, la madre aveva affermato di essere stata contraria all’allontanamento dalla casa familiare del figlio e che era ancora pronta ad accoglierlo nell’abitazione e a mantenerlo.
La Corte di Appello bacchetta il ragazzo
In sostanza, secondo i Giudici di appello, il figlio non poteva richiedere alla madre il contributo al mantenimento – tenuto conto che l’obbligazione alimentare assume aspetti di obbligazione alternativa, per cui sussiste la possibilità di scelta dell’obbligato tra la corresponsione di un assegno alimentare, limitato al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento dell’avente diritto, e l’accoglimento del medesimo presso la propria casa di abitazione ex art. 443 c.c. – perché, nel caso di specie, la madre aveva dedotto di non avere mai avallato la scelta del figlio di abbandonare la casa familiare materna, per andare a vivere da solo, e che aveva cercato di evitare ogni contenzioso, cercando ripetutamente di convincere il figlio a rivedere le sue scelte, che invece si era allontanato da casa in assenza di gravi ragioni.
Hanno anche “bacchettato” i Giudici di appello, che non poteva imporsi alla madre di corrispondere al figlio un assegno mensile di mantenimento, tenuto anche conto del fatto che il figlio già riceveva un assegno mensile di 1.082 euro corrispostogli dal padre, oltre all’integrale pagamento delle spese straordinarie da parte di entrambi i genitori pro quota.
Sarebbe errato, secondo il figlio, che la Corte d’appello abbia ritenuto sussistente l’operatività dell’art. 433 c.c. in luogo degli artt. 147, 315-bis, 337-septies c.c., ove ha affermato che l’assegno richiesto avesse natura esclusivamente alimentare e che, avendo la madre proposto invano al figlio una modalità alternativa per porre rimedio al suo stato di bisogno, così come previsto dall’art. 443, comma 1, c.c. (ovvero quello di accoglierlo in casa e mantenerlo in via diretta), quest’ultimo non poteva vantare il diritto all’assegno.
L’intervento della Corte di Cassazione
La Cassazione accoglie in arte le censure principali e quelle incidentali (Corte di Cassazione, I civile, ordinanza 10 febbraio 2025, n. 3329).
Innanzitutto, la Corte d’appello non ha qualificato la domanda del figlio come domanda di attribuzione degli alimenti ex art. 433 c.c., ma, in ragione dell’affermata natura “sostanzialmente alimentare” dell’assegno di mantenimento, ha ritenuto applicabile il disposto dell’art. 443, comma 1, c.c., ove l’obbligazione alimentare è configurata come obbligazione alternativa, con possibilità di scelta da parte dell’obbligato tra la corresponsione di un assegno alimentare, limitato al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento dell’avente diritto, e l’accoglimento e il mantenimento di quest’ultimo nella propria casa, così ritenendo che, a fronte dell’offerta di accoglienza e mantenimento da parte della madre, rifiutata dal figlio senza l’emergenza di gravi ragioni, la prestazione pecuniaria non poteva essere esigibile.
Proprio di recente, inoltre, è stato ribadito dalla Cassazione che, in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione per il passato dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita, fermo restando che il diritto di ritenere quanto già pagato non opera nell’ipotesi in cui sia accertata l’insussistenza ab origine, quanto al figlio maggiorenne, dei presupposti per il versamento e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza di regola collegata alla domanda di revisione o, motivatamente, da un periodo successivo.
La funzione alimentare dell’assegno di mantenimento
In altra occasione, invece, è stato affermato che occorre, in ogni caso, valutare “in concreto” la funzione alimentare effettivamente svolta dall’assegno di mantenimento, evidenziando, proprio con riguardo al contributo al mantenimento del figlio maggiorenne, che la mancata restituzione delle somme percepite, poi risultate non dovute, non può ritenersi giustificata in base a un’automatica applicazione dei principi in tema di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari, posto che tali principi non operano indiscriminatamente, e in virtù di teorica assimilabilità alle prestazioni alimentari dell’assegno di mantenimento, ma implicano che, in concreto, gli importi erogati per questo titolo abbiano assunto o comunque abbiano potuto assumere analoga funzione alimentare (Cass., Sez. 1, n. 11489 del 23/05/2014).
In effetti, l’obbligo di mantenimento dei figli, posto a carico dei genitori, si differenzia dall’obbligo alimentare vero e proprio, per le diverse finalità ed anche per il suo contenuto, pur potendo le due provvidenze in parte coincidere (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2710 del 29/01/2024).
La somministrazione degli alimenti è, dunque, una obbligazione che nasce come obbligazione alternativa, ove la scelta è rimessa all’obbligato, tuttavia, come rilevato da attenta dottrina, nell’ambito della tutela alimentare vi sono alcune peculiarità che impongono specifici limiti all’applicazione in toto della disciplina propria delle obbligazioni alternative.
La facoltà di determinare le modalità di adempimento delle obbligazioni alimentari consente al Giudice di discostarsi dalla scelta eventualmente operata dal debitore (cfr. in motivazione Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4539 del 14/07/1986 e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1683 del 15/03/1982).
La disciplina specifica del mantenimento dei figli maggiorenni
In tale quadro, si inserisce la disciplina specifica del mantenimento dei figli maggiorenni, contenuta nell’art. 337-septies c.c., ove è previsto che “il Giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”. La stessa norma stabilisce, poi, che “Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.
Non è, dunque, previsto che il genitore obbligato al mantenimento possa scegliere unilateralmente di adempiere all’obbligo mediante accoglimento in casa del figlio da parte di uno dei genitori.
Come visto, quale ulteriore ratio posta a fondamento della decisione, la Corte d’appello ha dato rilievo al fatto che il figlio già riceveva dal padre un contributo al mantenimento mensile di 1.082 euro e che comunque entrambi i genitori provvedevano al pagamento delle spese straordinarie nella misura del 50% ciascuno.
La più recente giurisprudenza ha più volte evidenziato che, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non convivente per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4145 del 10/02/2023; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020).
Nella sentenza impugnata non risulta effettuata nessuna valutazione in ordine al rapporto tra le consistenze dei genitori, né si legge alcuna considerazione in ordine al tenore di vita familiare, essendosi la Corte limitata a dare rilievo al fatto che il padre già corrispondeva un assegno di mantenimento e che entrambi i genitori provvedevano al pagamento delle spese straordinarie.
Avv. Emanuela Foligno