Accolto il ricorso di un uomo che, nella rideterminazione del contributo dovuto per il mantenimento dei figli, invocava l’applicazione del principio della proporzionalità rispetto al proprio reddito
L’art. 155 del codice civile, nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori. E’ il principio a cui dovrà uniformarsi il Giudice del rinvio nel pronunciarsi nuovamente sul contenzioso in materia di mantenimento dei figli insorto tra una coppia di ex coniugi.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 19299/2020, ha infatti accolto il ricorso proposto dall’ex marito contro la sentenza con cui la Corte di appello determinava in euro 1.400 il contributo mensile per il mantenimento dei figli maggiorenni e privi di autosufficienza economica, inizialmente fissato in euro 3.000 e già ridotto in primo grado a euro 1.900.
L’uomo, aveva infatti richiesto la riduzione del contributo per l’insorgenza di un glaucoma invalidante, che ne aveva compromesso la capacità lavorativa di medico dentista.
Il Collegio distrettuale rilevava che in sede di separazione “l’appellante, che ora godeva di una pensione di circa euro 15.000,00 annui, si era obbligato a contribuire al mantenimento dei figli per euro 3.000,00 mensili, somma superiore al reddito dì allora, che era pari a curo 33.118,00 annui: secondo il giudice di secondo grado, ciò faceva presumere che l’odierno ricorrente potesse contare ‘su apporti stabili dei familiari’, sempre affermati dalla ex moglie e da lui mai contestati, tali da consentirgli di versare un contributo di quell’ammontare”: in conseguenza, spiegava la Corte, nella quantificazione dell’assegno doveva tenersi conto di tali elargizioni che, evidentemente, si protraevano con regolarità.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente deduceva che l’assegno di mantenimento per i figli da lui dovuto era stato quantificato senza rispettare il principio di proporzionalità rispetto al proprio reddito, trascurando peraltro la maggiore capacità economica dell’altro genitore, tra l’altro nemmeno aggiornata.
Gli Ermellini hanno effettivamente ritenuto di aderire al motivo di doglianza.
Nella decisione della Corte di appello, infatti, era completamente assente il raffronto tra i redditi dei due coniugi. Per contro, la Cassazione ha sottolineato che, a seguito della separazione personale, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto. Da li la decisione di cassare la sentenza impugnata.
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