In caso di danno lungolatente, il risarcimento deve essere liquidato solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell’infezione (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 15 marzo 2024, n. 7077).
Il Ministero della salute ha impugnato le sentenze della Corte di appello di Bologna, non definitiva n. 1346/20019 (resa pubblica il 18 aprile 2019) e definitiva n. 897/2021 (resa pubblica il 21 aprile 2021) inerenti il contagio da HCV derivante da emotrasfusioni avvenute presso l’Ospedale di Riccione. Il ricorso è affidato a quattro motivi che propongono censure tutte avverso la decisione definitiva.
La vicenda giudiziaria
In particolare, la sentenza definitiva, resa nel giudizio di rinvio per la cassazione, disposta dalla Cassazione con ordinanza n. 21916/2017, della sentenza della medesima Corte territoriale n. 490/2015, così disponeva:
a) “accerta la responsabilità del Ministero della Salute in relazione al contagio dell’infezione da HCV subito dal paziente per le due trasfusioni di sangue infetto somministrate nel corso dell’intervento chirurgico eseguito il 20 dicembre 1983 presso l’Ospedale di Riccione”.
b) “accerta la responsabilità del Ministero della Salute anche in relazione al contagio da HCV, diagnosticato nel 1998, trasmesso sessualmente alla moglie in conseguenza del contagio del marito“.
c) “dichiara che la morte del paziente, intervenuta il 5 ottobre 2005, è da porsi in rapporto di causa-effetto con il contagio da HCV e riconosce pertanto il diritto dei congiunti superstiti alla liquidazione del danno da perdita parentale “.
d) “condanna conseguentemente il Ministero della Salute a corrispondere alle eredi, pro quota, al netto delle somme già corrisposte a titolo di indennizzo ex lege, la somma di 322.327,59 euro, comprensiva di rivalutazione e interessi, calcolata all’attualità, con gli interessi legali successivi fino al saldo effettivo”.
e) “condanna il Ministero della Salute a corrispondere alla moglie a titolo di risarcimento del danno da perdita per la morte del marito la somma di 250.000 euro, nonché alle figlie per la morte del genitore, la somma di 180.000 euro per ciascuna“.
f) condanna il Ministero della Salute a corrispondere alla moglie a titolo di risarcimento per il contagio dalla stessa subito, al netto dell’indennizzo ricevuto, la somma di 441.400,72 euro, comprensiva di rivalutazione e interessi, calcolata all’attualità, con gli interessi legali successivi fino al saldo effettivo”.
Il giudizio di Cassazione
Il Ministero deduce che la Corte avrebbe erroneamente liquidato i danni non patrimoniali in favore del paziente e della moglie “prendendo a riferimento l’età che i predetti avevano nel momento della contrazione dell’infezione epatica, anziché quella di effettivo manifestarsi dei segni conclamati della patologia epatica”.
La censura è corretta in riferimento alla liquidazione del danno biologico in favore degli eredi del paziente.
Nel passare al vaglio la decisione di appello, gli Ermellini ribadiscono che il danno biologico non consiste nella semplice lesione dell’integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona. Sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno in re ipsa, privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica (necessario ex art. 1223 c.c.) tra evento ed effetti dannosi. In caso di danno c.d. lungolatente il risarcimento deve essere liquidato solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell’infezione (Cass. n. 25887/2022, Cass. n. 12857/2023; Cass. n. 2340/2024).
L’errore della Corte d’Appello
La Corte di Appello ha errato perché ha liquidato il danno biologico da invalidità permanente patito in vita dal paziente (e riconosciuto iure successionis agli eredi) prendendo in considerazione la sua età “al momento del danno (anni 52)”, mentre avrebbe dovuto considerare il momento di manifestazione dei sintomi invalidanti, siccome tali da incidere pregiudizievolmente sulla persona del danneggiato.
Invece, la liquidazione del danno biologico patito in proprio dalla moglie della vittima è stata correttamente correlata dalla Corte territoriale all’età (55 anni) in cui alla donna è stata riscontrata la malattia (epatite cronica post-trasfusionale.)
La S.C. evidenzia, inoltre, che i Giudici di secondo grado, condividendo le risultanze della CTU medico-legale, hanno accertato che le menomazioni conseguenti al contagio da HCV erano antecedenti a quelle del “subentrante adenocarcinoma del colon con secondarismi epatici”, diagnosticato alla vittima, sebbene “tra di loro senza alcuna correlazione diretta”. Proprio per tale ragione i Giudici hanno, quindi, mantenuto fermo l’accertamento del grado di invalidità permanente nella misura del 40%, aderendo alle indicazioni del Consulente che ha ancorato detto grado di invalidità alla stabilizzazione del quadro epatico prima ancora dell’insorgenza del carcinoma.
Conseguenze del contagio e danno lungolatente
Non è quindi applicabile il principio (invocato dal Ministero ricorrente) secondo cui può costituire concausa dell’evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi “coesistente” vuoi “concorrente” rispetto al maggior danno causato dall’illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell’art. 1223 c.c. e, quindi, segnatamente, quella “concorrente” ai fini della liquidazione equitativa del risarcimento del danno (Cass. n. 28986/2019; Cass. n. 17555/2020; Cass. n. 28327/2022).
La patologia determinata dal fatto illecito, ovverosia il contagio da HCV, era preesistente rispetto all’adenocarcinoma del colon che si manifestava successivamente e indipendentemente dalla positività HCV, sebbene entrambe le patologie sono state accertate “incidenti causalmente nella verificazione della morte, e i postumi invalidanti relativi alla epatopatia si erano già stabilizzati – nel grado del 40% riconosciuto dal Giudice di appello ai fini della liquidazione del danno biologico permanente, prima dell’insorgenza della patologia tumorale, non essendovi stata, dunque, alcuna rilevanza di quest’ultima malattia sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. ai fini della liquidazione del danno biologico iure successionis agli eredi della vittima.
La sentenza viene cassata con rinvio in relazione alla sopra indicata fondata censura inerente la errata liquidazione del danno biologico da invalidità permanente patito in vita dal paziente.
Avv. Emanuela Foligno