Come componente dell’equipe, il convenuto era tenuto ad un obbligo di diligenza concernente non solo le specifiche mansioni a lui affidate nell’impianto delle valvole cardiache, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio

La vicenda

La vicenda trae origine da un intervento di sostituzione di due valvole, quella mitralica e quella aortica, impiantate nel ricorrente.
L’intervento sostitutivo era stato realizzato da una equipe medica specializzata, composta da tre medici.
Ad esso seguì un triennio scandito da numerosi accertamenti, più ricoveri, altri tre interventi chirurgici, alcune complicanze ed un lungo periodo di riabilitazione.
Ritenutili responsabili, per avere impiantato una valvola inadeguata in occasione dell’intervento, per le complicanze e i successivi interventi e ricoveri, il paziente citò in giudizio i tre chirurghi, unitamente all’Azienda Ospedaliera, al fine di sentirli condannare al risarcimento del danno biologico, del danno morale ed esistenziale e delle spese mediche, per un totale complessivamente quantificato in 438.412,57, euro, oltre al risarcimento del danno morale per Euro 73.568,00 ciascuno, subito dal coniuge e dai suoi due figli.
Il processo prima celebratosi davanti al giudice ordinario, poi in appello si concludeva nel merito con la condanna dell’ASL al pagamento in favore degli originari ricorrenti della somma complessiva di 54.000,00 euro.

Il ricorso per cassazione

Insoddisfatti dell’anzidetta pronuncia, il paziente danneggiato e i suoi familiari proponevano ricorso per Cassazione censurando la decisione impugnata per aver limitato la responsabilità del capo dell’equipe medica ai soli danni causati dal primo intervento chirurgico di sostituzione delle valvole difettose e non anche a quelli derivanti dai ricoveri e dagli interventi successivi.
E, il motivo è stato accolto.
A detta degli Ermellini, la corte territoriale aveva fatto malgoverno dei principi che regolano gli oneri probatori in materia di responsabilità sanitaria.
E invero, avendo i ricorrenti allegato e provato la ricorrenza di un inadempimento “qualificato” (ossia l’impianto di una valvola difettosa) tale da comportare di per sè, in assenza di fattori alternativi “più probabili”, la presunzione della derivazione dei successivi interventi e ricoveri dalla condotta inadempiente, spettava ai convenuti l’onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., comma 2 (Cass. sez. un., 11/1/2008, n. 577 e giurisprudenza successiva).
Sul paziente che agisce per il risarcimento del danno grava l’onere di provare la relazione causale che intercorre tra l’evento di danno e l’azione o l’omissione, mentre spetta alla controparte (medico o struttura sanitaria) dimostrare il sopravvenire di un evento imprevedibile ed inevitabile secondo l’ordinaria diligenza. Nella fattispecie, essendo rimasta oscura la causa degli interventi successivi al primo, spettava ai convenuti dimostrare il verificarsi di una causa imprevedibile ed inevitabile che aveva reso necessari gli ulteriori interventi sulle valvole impiantate alla paziente (Cass. 26/07/2017, n. 18392; Cass. 07/12/2017, n. 29315; Cass. 19/07/2018, n. 19204).

La responsabilità del componente dell’equipe medica

Tra gli altri motivi, i ricorrenti contestavano la decisione della corte d’appello anche nella parte in cui escludeva la responsabilità di uno dei componenti l’equipe medica con la seguente motivazione: “pur facendo parte dell’equipe chirurgica, non è dimostrato che avesse consapevolezza della provenienza e delle irregolarità dell’acquisto delle valvole, di talchè poteva ragionevolmente confidare nell’idoneità della valvola impiantata”.
Anche questo motivo è stato accolto.
Ed invero, la corte d’appello aveva fatto erronea applicazione dell’art. 1218 c.c., in base al quale il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; con la precisazione che ad essere in contestazione – nel caso di specie – non era la corretta esecuzione o meno dell’operazione medico-chirurgica di installazione della protesi, ma piuttosto di quali fossero gli obblighi di diligenza e di prudenza esistenti a carico di ciascun componente dell’equipe medica, a fronte della scelta di impiantare quella specifica valvola, risultata difettosa.
Dunque, come componente dell’equipe, in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità, il convenuto era tenuto ad un obbligo di diligenza concernente non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio.
Del resto tale principio è stato di recente confermato dalla giurisprudenza di legittimità: “Dal professionista che faccia parte sia pure in posizione di minor rilievo di una equipe si pretende pur sempre una partecipazione all’intervento chirurgico non da mero spettatore ma consapevole e informata, in modo che egli possa dare il suo apporto professionale non solo in relazione alla materiale esecuzione della operazione, ma anche in riferimento al rispetto delle regole di diligenza e prudenza ed alla adozione delle particolari precauzioni imposte dalla condizione specifica del paziente che si sta per operare” (Cass. 29/01/2018, n. 2060).

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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