Tramontato il sistema binario di accertamento della responsabilità civile gravante sul datore di lavoro, che distingueva l’onere di allegazione e prova per ottenere il risarcimento del danno differenziale e complementare (Cassazione Civile, Sez. lav., Sentenza n. 12041 pubblicata il 19/06/2020)

“In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124/1965 deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso”. In conseguenza della prolungata esposizione professionale alle polveri di amianto, il lavoratore riportava un mesotelioma pleurico, indennizzato poi dall’INAIL con l’erogazione della rendita ai superstiti. Successivamente, sia gli eredi del lavoratore sia l’INAIL agivano in giudizio nei confronti del datore di lavoro per ottenerne la condanna al risarcimento del danno differenziale e complementare, mentre l’Inail invocava il rimborso delle prestazioni economiche in precedenza erogate.

Accertata la responsabilità civile della società datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., a causa dell’esposizione prolungata alle polveri di amianto senza adozione di idonee misure protettive e di prevenzione, i Giudici di merito accoglievano sia la domanda degli eredi del lavoratore deceduto sia l’azione di regresso dell’INAIL.

Il datore di lavoro ricorre in Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza di condanna lamentando l’esclusione dell’esonero dalla responsabilità civile datoriale nei confronti degli eredi del lavoratore deceduto e dell’INAIL che ha agito in regresso, pur in assenza del presupposto che sarebbe costituito esclusivamente dalla condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio (o la malattia professionale) è derivato, da intendere anche come accertamento di responsabilità in sede civile, ma secondo i principi e le regole proprie del processo penale.

In altri termini il ricorrente ritiene che in caso di azione del lavoratore proposta per il risarcimento del danno differenziale derivante da infortunio o malattia professionale e nell’ipotesi di azione di regresso esercitata dall’INAIL devono essere applicati i criteri penali e non quelli civili.

Gli Ermellini respingono il gravame e confermano la decisione della Corte d’Appello che accertava la responsabilità datoriale con i criteri civilistici.

La Suprema Corte evidenzia che, rispetto al contesto originario la norma contenuta nell’art. 10, D.P.R. n. 1124/65, ha subito profondi mutamenti, derivati:

  • dal venir meno del principio di unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale, che ha comportato che “il giudizio civile sia disciplinato dalle sole regole sue proprie, che largamente si differenziano da quelle del processo penale, non soltanto sotto il profilo probatorio, ma anche, in via d’esempio, con riguardo alla ricostruzione del nesso di causalità, che risponde, nel processo penale, al canone della ragionevole certezza e, in quello civile, alla regola del più probabile che non” (Cass., sez. un., n. 13661 del 2019; in senso conforme, ex multis: Cass. n. 24988 del 2014; Cass. n. 12938 del 2016; Cass. n. 2350 del 2018)”;
  • dall’esclusione dalla regola del parziale esonero del risarcimento dei danni complementari, soggetto alle regole comuni (Corte cost. n. 356/1991; Corte cost. n. 485/1991);
  • dal fondamento costituzionale della tutela in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, individuato nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato come persona e dall’attribuzione al premio assicurativo della precipua funzione di provvedere al finanziamento del sistema, in vista dello “scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori” (Cass. n. 5066/2018).

L’accertamento del fatto materiale di reato demandato al Giudice civile deve essere operato con criteri civilistici presuntivi anche per coerenza di sistema, essendo stato già applicato per riconoscere sia l’applicazione dell’eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato, anche all’azione di risarcimento ex art. 2043 c.c., sia il risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di una concreta fattispecie di reato, come impone invece l’art. 185 c.p., in presenza di una fattispecie corrispondente nella sua oggettività all’astratta previsione di una figura di reato.

L’applicazione delle regole della responsabilità contrattuale evita il sorgere di una disparità di trattamento tra lavoratori assicurati e non perché “pretendere in tali casi che il giudice civile operi con gli strumenti penalistici significherebbe oggettivamente aggravare la posizione del lavoratore danneggiato, sottoponendo il medesimo ad un trattamento deteriore – quanto al danno cd. “differenziale” – rispetto a quello destinato a qualsiasi altro danneggiato che può ottenere il risarcimento integrale avvalendosi delle più agevoli regole di accertamento della responsabilità civile. Disparità di trattamento che presenterebbe profili di tensione con l’art. 3 Cost., in combinato disposto con l’art. 38 Cost., che conferisce una speciale protezione ai lavoratori in caso di infortunio e malattia, per cui non sarebbe giustificato che costoro fossero meno tutelati rispetto a qualsivoglia altro cittadino e proprio in un momento di maggiore bisogno e di difficoltà”.

Egualmente, la Suprema Corte ritiene applicabili i criteri civili di accertamento della responsabilità, anche all’azione di regresso esercitata dall’Istituto.

Al riguardo evidenzia che il riferimento all’art. 10, t.u. 1124/65 vale sia per l’azione del lavoratore sia per l’azione di regresso; che il soddisfacimento dell’ulteriore funzione, di natura solidaristica, attribuita all’azione di regresso, che rappresenta una forma di finanziamento dell’assicurazione obbligatoria; che la compromissione della funzione preventiva e deterrente, riconosciuta da SS.UU. n. 3288/1997, se all’INAIL, nell’ambito del giudizio civile e senza l’ausilio dell’accusa pubblica, non fossero consentiti gli stessi strumenti previsti per ogni accertamento di responsabilità contrattuale e per la parallela azione del lavoratore a ristoro dei danni cd. Differenziali.

Infine, viene ribadito che l’art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo necessario che l’evento dannoso sia comunque riferibile a colpa del datore di lavoro, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire il danno, per cui è solo la prova dell’elemento soggettivo ad essere agevolata dall’inversione dell’onere probatorio di cui all’art. 1218 c.c..

Ed ancora:

  • l’ipotesi di esonero parziale permane per l’area dei fatti che integrino un reato procedibile a querela, quali le lesioni colpose lievi guaribili entro i 40 giorni, da cui consegua una invalidità superiore alla franchigia del 6%, rispetto ai quali l’esonero funge comunque, per cui nè il lavoratore può avanzare richiesta di risarcimento del danno “differenziale” al datore di lavoro, nè quest’ultimo può essere convenuto in regresso dall’INAIL;
  • l’assicurazione pubblica costituisce per il datore di lavoro uno schermo che si oppone, sempre e comunque, al lavoratore, il quale non potrà mai pretendere dall’imprenditore il risarcimento integrale del danno, potendo questi eccepirgli l’operatività dell’esonero, rilevabile anche ex officio dal giudice e finanche se l’INAIL non abbia corrisposto l’indennizzo.

§§§

Questa decisione interviene dopo tre anni dall’ultima sentenza con cui la Corte ribadiva, sulla base della regola del parziale esonero, la vigenza di un sistema binario di accertamento della responsabilità civile gravante sul datore di lavoro, distinguendo ancora l’onere di allegazione e prova per ottenere il risarcimento del danno differenziale e complementare (Cass. n. 9166/2017), con la decisione qui a commento, invece, viene avviata una nuova interpretazione caratterizzata dall’omogeneità delle regole per ottenere il risarcimento integrale del pregiudizio fisico riportato dall’infortunato, a prescindere dal fatto che il danno sia compreso o meno nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria, proprio perché il lavoratore non deve “subire in giudizio un aggravamento dei carichi probatori che non subisce qualsiasi altro danneggiato soggetto al diritto comune”.

Avv. Emanuela Foligno

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