La moglie di un uomo di 46 anni, morto per un infezione diagnosticata in ritardo, chiede che venga fatta luce su eventuali responsabilità dei sanitari che hanno avuto in cura il marito nei suoi ultimi mesi di vita

E’ morto subito dopo la scorsa Pasqua, per una presunta infezione diagnosticata in ritardo. Ora la moglie ha presentato un esposto ai carabinieri in cui ripercorre gli ultimi mesi di vita del marito, operaio 46enne della provincia di Pordenone, chiedendo che venga fatta piena luce sull’assistenza sanitaria ricevuta in quel periodo.

In base a quanto denunciato e riportato dal Nordest24, l’uomo aveva iniziato ad accusare forti dolori alla schiena lo scorso novembre e si era rivolto al medico di famiglia. Il camice bianco, ipotizzando un problema muscolare, gli avrebbe certificato alcuni giorni di malattia dal lavoro e gli avrebbe prescritto un tampone, risultato negativo. Al persistere dei dolori l’operaio si era recato in Pronto soccorso, dove, eseguiti i dovuti accertamenti, gli sarebbe stata riscontrata una broncopolmonite, con conseguente prescrizione di una terapia e appuntamento al mese successivo per una lastra di controllo. L’esame eseguito a distanza di 30 giorni aveva evidenziato un traccia che il personale sanitario avrebbe tuttavia ricondotto a una “cicatrice” lasciata dalla broncopolmonite guarita.

Continuando a sentirsi stanco e spossato e soffrendo di un malessere diffuso, l’uomo si era rivolto nuovamente al curante, che gli aveva prescritto una serie di esami dai quali era emersa una anemia, ritenuta però non preoccupante. Dopo aver sostituito il dottore, si era recato più volte anche in ospedale a Pordenone ma, solo dopo varie insistenze, una dottoressa, nel marzo del 2021, esaminando la sua documentazione clinica e riscontrando alcune problematiche cardiache, aveva deciso di ricoverarlo.

Gli esami condotti nel nosocomio del capoluogo di provincia friulano avevano portato alla luce una infezione da enterococco, con un nido attorno alla valvola aortica.

Il paziente sarebbe stato trasferito prima in Chirurgia, quindi in Cardiologia e infine in Unità coronarica, ma il suo quadro clinico, ormai compromesso, sarebbe presto precipitato; il batterio si sarebbe esteso al cuore e al fegato, in setticemia, raggiungendo anche i reni.

A nulla era valsa la cura antibiotica che i medici gli avevano somministrato, non potendo sottoporlo a intervento cardio-chirurgico. Nel giro di poche settimane, e dopo il sopraggiungere di una ulteriore infezione a seguito dell’inserimento del catetere, il 46enne è deceduto.

La moglie chiede dunque che venga disposto il sequestro della documentazione clinica e lo svolgimento dell’esame autoptico al fine di capire se un diagnosi più tempestiva avrebbe potuto consentire di salvare la vita al coniuge.

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