Infezione nosocomiale e decesso del paziente (Cassazione civile, sez. III, 22/02/2023, n.5490).

Decesso del paziente per infezione nosocomiale da stafilococco aureus in occasione dell’intervento chirurgico.

Con ordinanza, la Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile, l’appello proposto dai congiunti della vittima, al risarcimento dei danni subiti iure haereditario e iure proprio in conseguenza del decesso della madre verificatosi a causa di una infezione nosocomiale da stafilococco aureo.

I Giudici di appello hanno integralmente condiviso le motivazioni del primo grado a fondamento del rigetto della domanda, avendo il tribunale evidenziato, sulla base di quanto emerso dalla CTU, l’avvenuta dimostrazione, da parte dei convenuti, che l’infezione nosocomiale contratta, pur dovendosi causalmente ricondurre all’intervento chirurgico eseguito all’interno dell’Ospedale, non fosse in alcun modo riconducibile alla responsabilità della Struttura sanitaria e dei Medici convenuti, essendo piuttosto attribuibile a un evento non prevedibile, né prevenibile con la diligenza dovuta.

Viene proposto ricorso per Cassazione con cui si lamenta la esclusione di responsabilità dei convenuti. Nello specifico, i ricorrenti si dolgono della valutazione degli elementi istruttori. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la applicazione delle norme che impongono, ai fini della valutazione della prova presuntiva, l’ammissibilità di indici specificamente dotati di gravità, precisione e concordanza.  

Le censure sono fondate.

Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, il rapporto che si instaura tra paziente e Struttura ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo, insorgono a carico della Struttura anche obblighi di messa a disposizioni del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze.

Le specifiche prestazioni rese dalla Struttura vanno al di là, e oltre, l’aspetto dell’elementare messa disposizione dei mezzi materiali e delle risorse umane finalizzate alla cura del paziente, sino ad arrivare alla sicurezza delle cure.

Ciò significa che la Struttura deve adottare ogni possibile iniziativa per salvaguardare l’incolumità dei pazienti, in considerazione del carattere integrale e totalizzante del coinvolgimento della persona nella struttura.

Pertanto, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta dell’obbligato, mentre è onere di quest’ultimo provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.

Nel caso di specie, pacifica la infezione nosocomiale, incombeva sulla Struttura l’onere di fornire la prova della specifica causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione, intesa come impossibilità in concreto dell’esatta esecuzione della prestazione di protezione direttamente e immediatamente riferibile alla singola paziente interessata.

Il Giudice di appello si è limitato  alla generica affermazione dell’avvenuto adempimento, da parte della Struttura dei propri obblighi cautelari, rilevando  che “l’intervento era definibile come “pulito” quindi con rischio infettivo basso, tuttavia la paziente era diabetica, evenienza che di per sé solo aumenta il rischio infettivo; (…) i medici hanno rispettato tutti i protocolli previsti per casi consimili, non essendo dunque possibile ipotizzare che la stessa sia dovuta ad incongruo trattamento: l’antibioticoprofilassi fu corretta per dose e molecole impiegate, in cartella è documentata l’avvenuta sterilità del materiale impiegato ed in generale le misure di prevenzione – per quanto desumibile dalla cartella – sono state corrette; (…) la patita infezione è certamente intervento-relata, sia per il criterio cronologico che per sede di infezione: trattasi di infezione precoce (sviluppatosi a meno di due settimane dall’intervento) e sviluppatasi in profondità con artrite e sepsi: la stessa fu prontamente identificata e la signora I. sottoposta agli accertamenti del caso (emoculture in primis): del pari, posta la diagnosi furono messi in atto tutti i presidi previsti per casi consimili (sbrigliamento, drenaggio, lavaggi, terapia antibiotica del caso”.

Sulla base di ciò ha escluso una responsabilità della struttura e dei medici convenuti, a titolo di imprudenza, negligenza o imperizia nell’esecuzione della prestazione a loro carico, essendo le complicanze infettive imputabili ad un evento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta.

Il ragionamento è inadeguato.

L’accertamento in via presuntiva della non rimproverabilità di un determinato comportamento contrattuale, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., deve partire dalla concreta attestazione del ricorso di più fatti – necessariamente gravi, precisi e concordanti – idonei, nel loro complesso, a dar conto dell’obiettiva riconoscibilità della non riconducibilità alla Struttura di quella specifica causa impossibilitante.

La regola di cui all’art. 2729 c.c., quanto con l’art. 2697 c.c., impone la dimostrazione, da parte della Struttura sanitaria, che la causa dell’infezione nosocomiale, che conduceva al decesso la paziente, non fosse in alcun modo imputabile ad essa.

Per tali motivi la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata rinviando alla Corte di Torino.

Avv. Emanuela Foligno

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