Se il contratto di assicurazione copre l’infortunio in itinere ma non lo definisce, deve farsi applicazione della disciplina dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro

Il ricorrente aveva citato in giudizio la compagnia assicurativa chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo contrattualmente dovuto per l’infortunio (in itinere) verificatosi mentre esercitava le sue funzioni di pubblico amministratore.

L’incidente si era verificato mentre questi si trovava, a sua detta, sulla strada di ritorno dopo due colloqui con soggetti privati (preordinati all’adozione di provvedimenti amministrativi, quali la realizzazione di una pista ciclabile; la sovvenzione di un laboratorio genetico).

La compagnia assicurativa costituitasi in giudizio aveva negato che la vittima al momento dell’incidente stesse esercitando le proprie funzioni amministrative; essendo emerso che egli fosse in tuta e stesse praticando attività ginnica.

All’esito del giudizio di primo grado la domanda fu accolta, ma la corte d’appello riformò la sentenza, condividendo l’assunto della compagnia assicurativa secondo cui, al momento dell’investimento l’assicurato stava praticando jogging, e che dunque, l’itinerario e l’ora di percorrenza erano stati scelti “per avere l’opportunità di fare jogging e non per esigenze connesse all’attività lavorativa”.

In particolare, Corte d’appello, per rigettare la domanda aveva così argomentato:

  • il contratto stipulato tra le parti, copriva gli infortuni in itinere, ma non li definiva;
  • doveva, pertanto, ritenersi che le parti avessero inteso fare riferimento al concetto di “infortunio in itinere” come previsto e disciplinato dal testo unico sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, e quindi al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, come modificato dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 12;
  • in virtù di tali norme non sussiste rischio in itinere quando il tragitto seguito dal lavoratore non sia necessitato, ma costituisca una “deviazione del tutto indipendente dal lavoro”.

Di opinione diversa era il ricorrente, a detta del quale il fatto stesso che il contratto di polizza non contenesse alcuna limitazione doveva portare a ritenere che fosse indennizzabile qualsiasi  infortunio avvenuto “in occasione di lavoro”.

La pronuncia della Cassazione

Ebbene tale argomento non è stato condiviso dai giudici della Suprema Corte (Sesta Sezione Civile, n. 5119/2020) perché contrario ai principi di diritto ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in base ai quali l’interpretazione del contratto adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto se si assumano violate le regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. Tale violazione non poteva dirsi sussistente sol perchè il testo contrattuale consentiva, in teoria, altre e diverse interpretazioni, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata.

Invero, il lavoratore non aveva lamentato la violazione di uno o più tra i canoni legali di ermeneutica, ma aveva contrapposto la propria interpretazione del contratto a quella adottata dalla Corte d’appello, che di per sè era comunque non implausibile: di qui l’inammissibilità del motivo di ricorso.

La redazione giuridica

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