Solo il comportamento abnorme del lavoratore può esimere il datore dalla responsabilità per l’infortunio sul lavoro in quanto la responsabilità dello stesso è fondata sulla posizione di garanzia

In tal senso la Suprema Corte (Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 37148 del 5 settembre 2019), la quale ha rimarcato che la responsabilità del datore di lavoro si colloca nella categoria dei reati omissivi impropri, e, dunque, nel capoverso dell’art. 40 c.p. secondo cui “non impedire l’evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

La Corte d’Appello confermava la sussistenza della penale responsabilità dell’imputato, rilevando che il lavoratore era alle dipendenze di questi e che l’attività di battitura delle olive era ricompresa nelle mansioni svolte e, soprattutto, che “era usuale che la stessa avvenisse mediante l’utilizzo di bastoni, anche arrampicandosi sulle piante, prassi di lavoro che si poneva in contrasto con la disciplina del lavoro da svolgersi in quota mediante l’impiego di scale (scale che non venivano nemmeno ritrovate in dotazione all’azienda).”

La decisione viene impugnata per vizio di motivazione in punto di accertamento della responsabilità dell’imputato e per la illogicità della motivazione nella parte in cui poneva a fondamento della colpevolezza elementi meramente congetturali e da testimonianze assolutamente inattendibili, e soprattutto sulla base di prassi aziendali non certo riconducibili all’imputato.

Gli Ermellini ritengono infondato il ricorso ed evidenziano la correttezza delle sentenze di merito poichè conformi in punto di diritto e prive di contraddizioni e illogicità.

Nello specifico risulta che la Corte di merito ha correttamente valutato la questione sia sotto il profilo causale, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo dell’imputato.

Per quanto riguarda il profilo causale è indubbio che il lavoratore fosse intento a svolgere un’attività che rientrava nel mansionario attribuitogli e che le direttive nell’esecuzione delle opere venivano impartite dal datore di lavoro che non si avvaleva delle corrette regole previste a prevenzione degli infortuni in quel dato settore, ma oltretutto (per ammissione dello stesso imputato) si avvaleva di prassi lavorative scorrette, quale appunto quello di salire sugli alberi per la battitura delle olive rimaste sulle piante.

Per tali ragioni non si può ritenere che il comportamento del lavoratore fosse tale da recidere il nesso causale in quanto “abnorme”.

 Al riguardo -ribadisce il Collegio- è già stato affermato e chiarito che “la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento-morte del lavoratore che ne sia conseguito o delle lesioni da questo riportate può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento”.

Ne deriva che è da considerarsi abnorme il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.

Correttamente il Giudice d’Appello ha tenuto in considerazione che il comportamento del lavoratore infortunato non potesse considerarsi abnorme.

Difatti, il lavoratore era intento nell’esecuzione del compito allo stesso assegnato e non è abnorme arrampicarsi sulle piante per tentare di fare cadere le olive più resistenti o distanti da terra.

Inoltre il datore di lavoro non forniva specifiche prescrizioni o divieti riguardo il posizionamento sugli alberi da parte dei dipendenti.

Gli Ermellini ribadiscono  che “gli obblighi che gravano sul datore di lavoro non si arrestano alla fornitura ai dipendenti dei presidi volti ad assicurare la protezione dei singoli dipendenti ma, come prescrive la disposizione normativa la cui inosservanza è contestata nella imputazione, imponevano il controllo sulla utilizzazione dei suddetti dispositivi, poiché il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilità di due soci-amministratori di una s.n.c. che, in qualità di datori di lavoro, avevano colposamente cagionato la morte di un lavoratore, il quale aveva eseguito la verifica di funzionamento di un impianto di luminarie con strumenti pericolosi, in assenza di misure di sicurezza specificamente previste ed in difetto dell’attività di vigilanza necessaria ad accertare che il detto lavoratore facesse uso durante le lavorazioni dei guanti isolanti”.

In altri termini, il datore di lavoro deve assolvere correttamente ai propri obblighi e risponde anche della culpa in vigilando e della culpa in eligendo.

In conclusione il ricorso del datore viene rigettato con condanna al pagamento delle spese di lite e conferma della decisione d’Appello.

La decisione qui a commento ricalca l’orientamento, che ormai può dirsi senz’altro consolidato, secondo cui il datore di lavoro risponde dell’infortunio sul lavoro tranne nel caso in cui il comportamento del lavoratore sia eccentrico e abnorme rispetto alle mansioni allo stesso affidate.

In buona sostanza, la giurisprudenza vuole valorizzare l’area di rischio correlata alle mansioni del lavoratore, che il datore di lavoro necessariamente è tenuto a presiedere.

Avv. Emanuela Foligno

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