Infortunio sul lavoro gravissimo: il datore di lavoro responsabile del sinistro non risponde automaticamente del decesso

Infortunio sul lavoro gravissimo e giudizio controfattuale (Cass. pen., sez. IV, dep. 20 aprile 2022, n. 15155).

La sussistenza del nesso causale fra la condotta dell’imputato e l’evento deve “operarsi attraverso un doveroso giudizio controfattuale, ovverosia quell’operazione logica che, eliminando dalla realtà (contro i fatti) la condizione costituita da una determinata condotta umana, verifica se il fatto oggetto del giudizio sarebbe egualmente accaduto, con la conseguenza che nell’ipotesi di indifferenza della condotta nella produzione dell’evento, deve escludersi che essa ne costituisca una causa “.

La Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Castrovillari con cui il legale rappresentante della società è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p., commi 1 e 2, per avere, con colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione degli obblighi antinfortunistici, cagionato la morte del lavoratore a seguito dell’infortunio, allorquando il lavoratore mentre scaricava, con l’aiuto di un muletto, delle casseformi da un T.I.R., agganciate ad una catena, nell’area portuale riservata, veniva travolto per effetto del capovolgimento di una delle medesime, riportando politrabmi vari, trauma cervicale e toraco-addominale, dai quali derivava uno stato comatoso-vegetativo permanente, cui seguiva la morte.

L’amministratore propone ricorso per Cassazione, denunciando, tra i vari motivi, l’erronea applicazione degli artt. 40,589, commi 1 e 2, 157, 590, commi 1 e 3, c.p., oltre al vizio di motivazione.

In particolare, evidenzia che il Giudice di prima cura aveva ritenuto l’evento morte conseguenza diretta dell’infortunio, senza svolgere alcuna indagine medico-scientifica, sostenendo addirittura che fosse onere della difesa dimostrare l’interruzione del nesso causale. Con il gravame il ricorrente aveva sottolineato che, in assenza di esame autoptico, la documentazione medica acquisita, in assenza di perizia, non poteva essere sufficiente per affermare la correlazione fra l’infortunio ed il decesso. Il primo giudice, infatti, aveva enfatizzato la circostanza che la morte fosse intervenuta per arresto cardiocircolatorio, elemento questo inconferente, posto che siffatta evenienza caratterizza tutti i decessi. Invece, la letteratura medica dimostra che anche nelle ipotesi di coma vegetativo la morte può intervenire per cause del tutto estranee a quella di origine traumatica che ha determinato lo stato di coma. Osserva anche che la Corte territoriale, a fronte dello specifico motivo, omette la risposta, senza approfondire le cause del decesso del lavoratore, che non vengono neppure indicate. Va escluso, dopo l’intervento della pronuncia delle Sezioni Unite Franzese, che possa farsi ricorso alla teoria dell’aumento del rischio, peraltro anch’essa non menzionata dalle sentenze di merito, essendo quantomeno necessario che la motivazione dia conto della legge di copertura scientifica a copertura del caso concreto.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata, che pure ricostruisce analiticamente la dinamica dell’infortunio, dal quale sono derivate le lesioni gravissime, nel rispondere al motivo di gravame, inerente alla relazione causale fra l’omissione dell’adempimento degli obblighi e delle cautele previste dalla normativa antinfortunistica e l’evento morte, si limita a constatare che il lavoratore, a seguito di infortunio sul lavoro gravissimo, rimase in stato vegetativo sino al decesso e, riaffermata la posizione di garante dell’incolumità fisica dei lavoratori, integrata dal datore di lavoro e l’obbligo di sanzionare disciplinarmente i dipendenti che non utilizzino i dispositivi di protezione previsti, rigetta il motivo di appello rivolto a derubricare il reato in quello di lesioni gravissime.

Il nesso causale va ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato.

Il “nodo da sciogliere” riguarda esclusivamente il decesso, collocatosi ad anni di distanza dalla condotta, e coincide con la verifica della sussistenza di una serie causale alternativa, innescante un rischio nuovo e diverso da quello attivato dalla condotta. E ciò, perché l’eventuale diversità dei rischi interrompe e separa la sfera di responsabilità del garante (datore di lavoro) dall’evento prodottosi, quando una qualunque circostanza, radicalmente esorbitante rispetto al rischio che egli è chiamato a governare, inneschi una nuova ed autonoma serie causale.

I Giudici di merito hanno del tutto pretermesso l’accertamento della causa della morte del lavoratore, facendo derivare unicamente dallo stato di coma vegetativo, conseguente l’infortunio sul lavoro gravissimo, l’evento ascritto all’imputato, senza indagare quale patologia abbia materialmente condotto la persona offesa al decesso, avvenuto a distanza di oltre quattro anni dall’incidente, nè il collegamento con le lesioni riportate in quella occasione.

Tale accertamento non può incombere sull’imputato, al quale non compete l’onere di dimostrare la sussistenza di una serie causale alternativa, essendo la prova del collegamento fra la condotta e la morte, onere specifico dell’accusa.

La Suprema Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro.

La redazione giuridica

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