Intervento in quota e infortunio del lavoratore. Il Tribunale penale di Firenze condannava il datore di lavoro per lesioni colpose gravissime (Cassazione Penale, sez. IV, 21/01/2022, ud. 21/01/2022, dep. 16/02/2022).

Intervento in quota e infortunio. La Corte d’Appello, adita successivamente, mandava invece assolti gli imputati dal reato di lesioni colpose gravissime ai danni del dipendente che precipitava da una scala a pioli mentre era intento a eseguire un lavoro di rimozione di alcuni cavi in acciaio cui erano collegati impianti di illuminazione sulla parete di edificio destinato a culto, procurandosi lesioni verosimilmente insanabili alla integrità fisica conseguenti a trauma cranio facciale con fratture delle ossa del cranio e focolai emorragici diffusi.

Agli imputati, veniva contestata l’inosservanza delle disposizioni del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per la mancata predisposizione e fornitura di dispositivi di protezione individuale nonché per non aver verificato che venissero adottati i suddetti dispositivi in relazione ai rischi specifici della lavorazione.

Il giudice distrettuale, premessa la correttezza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado e rilevato che il datore di lavoro aveva già da tempo organizzato e predisposto l’esecuzione di intervento in quota mediante l’utilizzo di un carro ponte dotato di braccio elevatore, che l’impiego della scala da parte del lavoratore costituiva una iniziativa autonoma del lavoratore verosimilmente determinata dalla richiesta della parte committente e che i titolari della società datrice di lavoro non erano presenti sul luogo di lavoro, riconosceva che nessun addebito di colpa potesse essere mosso agli imputati, in ragione del comportamento abnorme e imprevedibile del lavoratore.

Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la difesa della parte civile INAIL la quale ha introdotto quattro motivi di ricorso.

In particolare, assume il ricorrente che faceva certamente obbligo al datore di lavoro di regolare nel POS le modalità di esecuzione dell’ intervento in quota, compresi quelli concernenti lo sganciamento e la rimozione dei cavi in oggetto, trattandosi di interventi preliminari e indispensabili per procedere alle opere di ristrutturazione e di manutenzione e che tale obbligo sussisteva anche se per tali interventi l’appaltatore avesse inteso farsi assistere da un prestatore di opera esterno, facendo onere sul datore di lavoro di analizzare e considerare tutti i possibili fattori di pericolo da affrontare nel corso delle lavorazioni, quali quelli connessi alla rimozione di cavi aerei agganciati alle pareti dell’edificio da manutenere e comunque indicare le modalità più sicure e idonee per provvedervi.

Assume ancora parte ricorrente come la Corte di Appello abbia del tutto omesso di considerare che alla base dello scorretto intervento della persona offesa vi era una carente e non documentata programmazione della complessiva operazione di rimozione dei cavi e la omessa indicazione delle precauzioni che dovevano accompagnare tale fase che presentava profili di complessità, per l’ubicazione dei cavi, la tensione degli stessi e il fatto che sostenessero elementi di illuminazione, nonché per il complessivo ambiente che circondava il luogo di lavoro.

In relazione alla posizione di uno dell’imputato, essendo l’altro deceduto nelle more del giudizio, il ricorso proposto dalla parte civile è fondato con il conseguente annullamento della sentenza impugnata.

Le ragioni della sentenza assolutoria di Appello, che ha riformato la sentenza di condanna in primo grado, risultano minimali, assertive e illogiche.

Il giorno in cui si verificò l’infortunio, il datore di lavoro aveva noleggiato un carro con braccio elevatore per eseguire l’intervento in quota, connesso anche alla rimozione dei cavi aerei agganciati all’edificio da ristrutturare e che per tale ragione il lavoratore non avrebbe dovuto issarsi con una scala lungo la parete dell’edificio, e quindi eseguendo intervento in quota, per agevolare la disinstallazione di tali cavi.

Poiché si era in presenza di un’iniziativa personale ed estemporanea del lavoratore di cui non aveva dato avviso al datore di lavoro, si era in presenza di una condotta eccentrica ed esorbitante del lavoratore e comunque nessun addebito di colpa poteva essere mosso al datore di lavoro in quanto le plurime regole cautelari che si assumeva da esso violate, garantivano la sicurezza di una prestazione lavorativa che nella specie non andava eseguita, o andava svolta modalità diverse da quelle per cui le garanzie erano poste.

Ebbene, nel piano operativo di sicurezza dell’impresa appaltatrice, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89, art. 96, lett. g) e art. 97 dovevano essere inserite anche le modalità di esecuzione di tali interventi, con previsione dei rischi connessi a tale lavorazione e con indicazione delle misure di sicurezza abbinate.

L’assenza di qualsiasi previsione nel POS di tale complessa ed articolata attività era pertanto un primo argomento con il quale il Giudice di Appello avrebbe dovuto confrontarsi senza ricorrere al sillogismo, assertivo e congetturale, secondo cui per tali lavorazioni le maestranze non avrebbero dovuto intervenire.

La Corte di Appello di Firenze non si è limitata ad escludere in capo al datore di lavoro l’esigibilità del rispetto delle regole cautelari che presiedevano lo svolgimento dell’attività lavorativa della persona offesa, ma ha ragionato in termini di esclusione del rapporto di causalità, pervenendo ad una pronuncia assolutoria per insussistenza del fatto, sul presupposto che non era stato il datore, pure presente in cantiere nelle prime ore della mattina, a sollecitare l’intervento in quota del lavoratore con l’impiego della scala.

Tale affermazione si pone in contrasto con la giurisprudenza che esclude la interruzione del rapporto di causalità in presenza della imprudente condotta del lavoratore e che limita la responsabilità del lavoratore nella causazione dell’infortunio quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità,  e dia pertanto ingresso a iniziative personali volte ad accelerare le modalità di lavoro.

La Suprema Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti dl datore di lavoro, con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.

Avv. Emanuela Foligno

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