Il motociclista era stato condannato per aver provocato il decesso di un uomo investito mentre attraversava la strada sulla corsia riservata ai mezzi pubblici

Con la sentenza n. 24837/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un motociclista condannato alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all’art 589 co. 1, 2 e 4 cod. pen., perché alla guida del suo motociclo, agendo con colpa consistita in negligenza, imprudenza, nonché in violazione delle norme in materia di circolazione stradale, in particolare impegnando senza autorizzazione la corsia riservata ai mezzi pubblici e procedendo a velocità e con attenzione non adeguata alle condizioni di luogo e tempo (strada centro città con attraversamenti pedonali in orario notturno) investiva un pedone intento ad attraversare la carreggiata dal lato sinistro a quello destro, cagionandone lesioni personali gravissime da cui derivava il decesso. L’imputato era stato inoltre condannato, in solido con la compagnia assicurativa, al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale di euro 20.000.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente lamentava che la Corte territoriale avrebbe confermato la responsabilità “in assenza di un elemento probatorio decisivo per dimostrare la violazione della regola di prudenza imposta ai conducenti di autoveicoli dall’art. 141 c.d.s.”. Ciò in quanto, se tale principio normativo impone al conducente di qualsiasi veicolo di regolare la velocità a seconda delle peculiarità del veicolo, dello stato e condizioni della strada, l’accertamento dell’inosservanza di tale regola prudenziale non può farsi conseguire dalla sola “verificazione dell’evento delittuoso”, come motivato nella sentenza impugnata.

La Corte territoriale – aveva evidenziato che il motociclista “aveva passato da appena 80 metri un attraversamento pedonale con semafori”; ne conseguiva, pertanto, che l’impatto tra la moto e il pedone, in quanto non avvenuto in prossimità di incroci e/o attraversamenti pedonali e/o segnalazioni semaforiche, avrebbe richiesto l’accertamento della velocità del motoveicolo al fine di verificare, in concreto, la violazione della regola prudenziale imposta dall’art. 141 c.d.s.

Gli Ermellini non hanno ritenuto di aderire alle doglianze proposte.

La motivazione della Corte di appello appariva logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto si palesava immune da vizi di legittimità a fronte, peraltro, di un atto di appello pure generico ed ai limiti dell’ammissibilità.

Quanto alla velocità del motoveicolo investitore già il giudice di primo grado aveva dato atto di come l’agente della Polizia Municipale intervenuto sul posto avesse riferito in dibattimento di come, tenuto conto della lunghezza della traccia di scarrocciamento che venne rilevata sulla sede stradale, si ritenne che il motoveicolo, nel momento in cui si verificò l’investimento, stesse procedendo a velocità elevata e comunque non adeguata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo, sicché era stata elevata nei confronti del conducente anche la specifica contravvenzione.

Il giudice di primo grado, inoltre, aveva dato conto minuziosamente delle prove acquisite e aveva confrontato criticamente risultanze della disposta perizia con i rilievi dei consulenti di parte, giungendo a ricostruire correttamente la dinamica del sinistro nel modo seguente: il motociclo condotto dall’imputato investì il pedone, intento ad attraversare la strada da sinistra verso destra rispetto al senso di marcia della motocicletta. L’impatto interessò verosimilmente la parte sinistra del motociclo e della sagoma del motociclista e, in conseguenza di tale turbativa, il centauro perse il controllo del mezzo che, dopo alcuni metri, rovinò al suolo sul lato sinistro scarrocciando sull’asfalto per oltre 22 metri, come evidenziato dai numerosi danni riscontrati sul mezzo. Le lesioni riportate dall’imputato dislocate prevalentemente sulla parte sinistra del corpo confermavano la verosimiglianza di questa dinamica.

Traendone correttamente le conclusioni in punto di diritto, già il primo giudice aveva evidenziato come nella condotta di guida del ricorrente si rinvenissero evidenti profili di colpa specifica ricordando come le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell’art. 140 c.d.s., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale e nel successivo art. 141 c.d.s. che impone al conducente di un veicolo di regolare la velocità in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e prevede inoltre che il conducente deve conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l’arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità.

I giudici del merito, con motivazioni prive di aporie logiche e corrette in punto di diritto, avevano dato atto che risultava dimostrato che l’imputato non aveva osservato, nella conduzione del motociclo di cui aveva la disponibilità, lo specifico obbligo di attenzione posto a suo carico, procedendo ad una velocità non adeguata alle specifiche condizioni di tempo e di luogo.

La violazione dell’obbligo di attenzione da parte del ricorrente era resa palese per i giudici di merito dall’assenza di qualsiasi traccia di frenata della motocicletta che testimoniava come egli non si fosse avveduto affatto, se non al momento dell’investimento, del tentativo di attraversamento del pedone. L’orario notturno, la presenza, circa 80 metri prima dell’impatto, di un attraversamento pedonale con semafori (come si evince dallo schizzo planimetrico in atti), il carattere riservato della corsia, le caratteristiche della strada nelle cui immediate vicinanze insisteva un esercizio commerciale molto frequentato da giovani avrebbero imposto al motociclista particolare attenzione, procedendo ad una velocità molto moderata, tale da prevenire possibili e prevedibili ostacoli e turbative.

Coerente con l’accaduto appariva anche il rilievo che, trattandosi di una strada ad andamento rettilineo, a visuale completamente libera ed in sufficienti condizioni di illuminazione, il conducente della motocicletta, ove avesse mantenuto una velocità particolarmente contenuta, avrebbe potuto avvedersi in tempo utile del tentativo del pedone di attraversare la strada ed avrebbe potuto frenare o, comunque, porre in essere manovre di emergenza adeguate, idonee ad evitare l’investimento. E che, ovviamente l’imputato non avrebbe potuto impegnare la corsia riservata ai mezzi pubblici e, come detto, in ogni caso tale impegno, proprio perché vietato, avrebbe dovuto indurlo ad una ulteriore maggiore cautela nella conduzione del veicolo. La perdita del controllo del motociclo e la lunghezza dello scarrocciamento (oltre 22 metri) confermavano, inoltre, che la velocità della moto non era affatto moderata.

Una siffatta ricostruzione dei fatti portava alla logica conclusione che il conducente del veicolo investitore non si era trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile, potendo solo in tal caso, invero, l’incidente ricondursi eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima.

La redazione giuridica

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