La Federazione pubblica, alla vigilia dell’apertura delle trattative sul nuovo contratto, uno studio in cui si evidenziano Regione per Regione, carenze, condizioni economiche e occupazionali relative alla categoria

Servirebbero 47mila infermieri per raggiungere standard accettabili di sicurezza ed efficienza. E’ quanto afferma Federazione nazionale Ipasvi sulla base di un’analisi Regione per Regione della condizione 2014 della forza lavoro infermieristica realizzata in vista dell’apertura delle trattative sul nuovo contratto. Lo studio, primo nel suo genere, si fonda sui dati presenti nell’ultimo Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato.

In cinque anni – tra il 2009 e il 2014 – i tagli alla spesa e blocchi del turn over avrebbero ridotto il numero di infermieri di circa 7.500 unità, con un’emorragia più forte nelle Regioni in piano di rientro. Campania, Lazio e Calabria da sole, in questo periodo, ne hanno 5.439 in meno, il 72,5% del totale.

Le condizioni di lavoro, sottolinea l’IPASVI, presentano inoltre mille difficoltà: retribuzioni ridotte in valore assoluto nei cinque anni di 70 euro, in termini di potere di acquisto almeno del 25%; un rapporto infermieri/medici che a livello ottimale sarebbe di 3 a 1, ma in alcune Regioni si ferma a malapena a 2; turni massacranti testimoniati da un significativo aumento della spesa per straordinari che raggiunge in alcune Regioni, punte anche di oltre il 4,5% della retribuzione contro un peso che sfiora al massimo il 2% nelle Regioni “virtuose”.

Tali problematiche rischiano di ripercuotersi sui cittadini. Secondo alcuni studi internazionali, infatti, se i pazienti per infermiere scendono numericamente da 10 a 6, la mortalità si riduce del 20%. In Italia la proporzione media nazionale è di 12 pazienti per infermiere; e se poche Regioni riescono a scendere sotto ai 10, in altre si arriva anche a 18 pazienti per infermiere.

“Alla vigilia della nuova stagione contrattuale – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Ipasvi – questi dati dovrebbero far ragionare sia il legislatore che le Regioni ed essere utili come base di trattativa per i sindacati. La carenza è evidente, così come lo è la situazione difficile a livello generale, ma sicuramente a rischio nelle Regioni in piano di rientro che rappresentano ormai a livello di popolazione oltre il 47% dei cittadini italiani. Il nostro compito è di tutela della professione perché mantenga la sua dignità e soprattutto dei pazienti che si affidano a noi: sapere con cosa abbiamo a che fare è un buon inizio”.

Un altro dato significativo che emerge dall’analisi Ipasvi è quello relativo all’età media dei professionisti che aumenta per il mancato ricambio generazionale, con una percentuale di infermieri over 50 – meno adatti a turni pesanti e a manovre rischiose per se stessi e i pazienti – che rappresentano il 69% circa degli infermieri fino a 65 anni di età, quindi potenzialmente “operativi”.

Cresce, inoltre, la necessità di un’assistenza capillare sul territorio, dove aumenta il numero di cittadini over 60 e dove i pazienti non autosufficienti, cronici e comunque fragili che hanno bisogno di assistenza h24 sono oltre 16 milioni. Per questi, calcola l’Ipasvi, servono almeno 30mila infermieri “dedicati” che non possono essere né i più anziani, né i meno esperti.

La Federazione evidenzia come una soluzione temporanea per alleggerire in via transitoria una situazione estrema, soprattutto nelle Regioni in piano di rientro sarebbe la mobilità volontaria; uno strumento che la legge concede, ma che aziende e Regioni “bloccano” non rilasciando i necessari nulla osta.

Infine, un’altra ipotesi lanciata dall’Ipasvi per rendere reale l’attuale consistenza di personale, oltre alla stabilizzazione dei precari, potrebbe essere quella di assumere part time al 50% circa 9-10mila unità di personale: attualmente infatti, come risulta dall’analisi, circa il 10% dei 270mila infermieri in servizio nel Ssn lavora a tempo parziale, con una riduzione conseguente, quindi dell’effettivo numero di ore-lavoro a tempo pieno e un aggravio ulteriore del lavoro per alcuni, specie nei turni e nelle situazioni che richiedono maggiore continuità.

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