La piccola aveva contratto una retinoftalmopatia provocata da iperossigenazione dopo la nascita prematura alla 24esima settimana di gravidanza

La Corte di appello di Venezia ha condannato la Ulss 6 euganea a risarcire la famiglia di una bambina affetta da cecità bilaterale a causa di retinoftalmopatia provocata da iperossigenazione dopo la nascita prematura.

Rispetto alla sentenza di primo grado, che aveva previsto in favore della parte lesa, una cifra di 800 mila euro, il Collegio territoriale ha stabilito un importo pari a circa un milione e 800 mila euro, di cui 1,3 milioni andranno alla piccola danneggiata, che oggi ha 13 anni, e la restante parte ai congiunti.

Come ricostruisce il Gazzettino, il fatto risale al 2007, quando nacquero alla 24esima settimana di gravidanza due gemelline, subito trasferite d’urgenza in terapia intensiva neonatale. Entrambe furono sottoposte ad una intensa ossigenazione artificiale, data l’immaturità dei loro polmoni, ma se una delle due sorelle superò i problemi dovuti alla prematurità, la seconda, nei primi due mesi di vita sviluppò la retinoftalmopatia, una patologia che si manifesta al momento della riduzione quantitativa di ossigeno somministrato, provocando problemi alla retina e la cecità.

La malattia in questione – riferisce ancora il Gazzettino – richiede continui controlli oculistici e, al suo primo apparire, occorre moderare il quantitativo di ossigeno in funzione delle necessità, eventualmente intervenendo con il laser per asportare le parti non funzionanti della retina e consentirne una migliore adesione al fundus.

Nel caso, in esame, i sanitari – secondo l’ipotesi accusatoria – avrebbero dovuto prevedere la malattia; invece, non se ne sarebbero accorti, sottovalutando la problematica. Dopo tre visite oculistiche a distanza di una settimana l’una dall’altra, la neonata non sarebbe più stata visitata e quando venne ricoverata al reparto di neonatologia di Padova ormai era troppo tardi.

La paziente, inoltre, essendo cieca dalla nascita ha sviluppato anche un notevole ritardo cognitivo. E proprio in relazione al danno cognitivo, riconosciuto nella misura del 10 per cento, la famiglia potrebbe decidere di impugnare la sentenza di appello davanti alla Suprema Corte di Cassazione, al fine di vedersi riconoscere un risarcimento maggiore rispetto a quello quantificato dal Giudice di secondo grado.

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