Nonostante esca vittoriosa da entrambi i giudizi di merito, la danneggiata viene condannata a rifondere all’azienda sanitaria tutte le spese di lite del secondo grado per l’accoglimento dell’appello (in modo solo parziale).
La vicenda
La paziente cita a giudizio l’AUSL Umbria per ottenerne il risarcimento dei danni che gli avrebbero cagionato i sanitari dell’Ospedale, dove aveva subito due interventi chirurgici, il 31 marzo e il 9 aprile 2008.
Il Tribunale di Perugia (sent. 13 settembre 2017) accoglie la domanda riconoscendo un danno biologico del 65% e condannando l’Azienda Sanitaria a risarcire l’importo di 808.910 euro, oltre a spese di CTU e a spese di lite.
In secondo grado viene disposta una nuova CTU medico-legale e la Corte di Perugia, in parziale riforma del primo grado, condanna l’AUSL a risarcire il minore importo quantificato in 465.637 euro oltre interessi e spese di CTU già liquidate dal primo giudice e spese di primo grado come già liquidate da quest’ultimo. Inoltre condanna la paziente a rifondere all’azienda sanitaria tutte le spese di lite del secondo grado per “l’accoglimento dell’appello”, ponendo a carico dell’Azienda le spese della CTU di secondo grado.
Il ricorso in Cassazione
La paziente si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, che la condanna da parte del Giudice d’appello a rifondere le spese di secondo grado a controparte, nonostante l’appello dell’Azienda sanitaria sia stato soltanto parzialmente accolto, avendola la corte territoriale diminuito il quantum, con conferma della responsabilità sanitaria.
Quanto censurato è fondato (Cassazione civile, sez. III, 23/09/2024, n.25444). In effetti l’Azienda Sanitaria (appellante principale) aveva proposto gravame finalizzato alla revoca integrale della condanna di primo grado, pertanto, l’impugnativa rivestiva sia l’an, sia quantum della condanna del Tribunale. Difatti, la Corte ha disposto una seconda CTU, e il secondo motivo d’appello concerneva espressamente anche l’an.
Questo significa che effettivamente la Corte di Perugia ha compiuto “una parziale riforma” che ha inciso solo sull’importo risarcitorio da liquidarsi alla paziente, stabilito in oltre quattrocentomila euro.
È chiaro, dunque, che la soccombenza non ha investito la paziente, bensì l’Azienda Sanitaria, che, nonostante una seconda CTU, ha visto confermata la propria responsabilità e decurtato l’importo del risarcimento che era stato condannato a corrispondere dal primo Giudice.
Commesso un errore di diritto
Conseguentemente è avvenuto un errore di diritto: il Giudice del gravame, senza fondamento giuridico e, prima ancora, logico, ha condannato la paziente (vittoriosa in entrambi i gradi di merito) a rifondere alla soccombente tutte le spese di lite del secondo grado.
Ciò è in palese conflitto anche con gli insegnamenti più recenti di giurisprudenza (S. U. n. 32061/2022): “In tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c.“
Avv. Emanuela Foligno