La donna pativa lesione cutanea, esitata in necrosi tissutale in regione succlavia e pettorale sinistra, parzialmente emendata da intervento chirurgico di omoinnesto di cute (Tribunale di Torino, IV Sez., Sentenza n. 2380/2021 del 12/05/2021- RG n. 28540/2018)
La paziente, avuta diagnosi nel marzo del 2013 di carcinoma mammario destro di immunogenotipo triplo negativo si sottoponeva a intervento di mastectomia totale destra in Marocco, e dal maggio del 2013 in trattamento chemioterapico adiuvante presso la struttura torinese. I Sanitari in data 19.6.2013 innestavano per via giugulare sinistra un catetere venoso centrale tipo port-a-cath (PAC) e a inserirle un ago Gripper (non carotante). Lo stesso 19.6.2013, al termine della infusione “a bolo” del chemioterapico epirubicina, la donna pativa lesione cutanea, esitata in necrosi tissutale in regione succlavia e pettorale sinistra, parzialmente emendata da successivo intervento chirurgico di omoinnesto di cute, per stravaso del farmaco urticante Epirubicina.
Ritenendo che lo stravaso fosse attribuibile all’inserimento dell’ago Gripper al di fuori della camera del port -a-cath , la donna proponeva denuncia -querela esitata in due procedimenti penali (R.G.N.R. n.69257/2013 a carico di ignoti e R.G.N.R.6120/2015) , entrambi indagati con licenziamento di CTU medico -collegiale che escludeva profili di responsabilità contro i Sanitari.
In particolare venivano svolte, una prima Consulenza medico-Legale richiesta dal P.M. che risultava scarsamente significativa ai fini del decidere perché eseguita senza visionare la rx del 19.6.2013 di verifica dell’impianto del PAC, depositata in data 27.5.2014; una seconda Consulenza , riaffidata ai medesimi Consulenti e depositata il 6.11.2015, dopo il reperimento della rx di verifica del PAC .
La vicenda penale, dunque, si concludeva con ordinanza di archiviazione in data 17.10.2019 relativamente alla posizione della Radiologa, cui seguiva la richiesta di archiviazione 5.1.2019 del P.M. anche riguardo l’Infermiera.
Il Tribunale prende atto che sono stati specificamente investigati ed esclusi in sede penale profili di malpractice sia in capo alla Radiologa che all’Infermiera, essendo stato accertato il corretto posizionamento del dispositivo PAC.
Il Giudice penale escludeva, altresì, la responsabilità dei dirigenti sanitari sottoscrittori del protocollo aziendale di gestione dei cateteri intravascolari per non avere inserito nel documento la procedura di prova di reflusso ematico prima della infusione di ciascun farmaco.
Sulla scorta della imperfezione del protocollo e dell ‘assenza di documentazione medica circa il riposizionamento dell’ago Gripper dopo la rx di controllo, la paziente depositava ricorso ex art.696 bis , al cui esito non venivano individuati elementi di responsabilità medica a carico dei sanitari e della struttura.
La causa, introdotta con procedimento ex art. 702 bis c.p.c., viene istruita con produzioni documentali, acquisizione del fascicolo di ATP e trattenuta in decisione.
La paziente, in sintesi, lamenta:
- mancata ripetizione della prova del reflusso prima di iniziare l’infusione di epirubicina;
- mancato e/o negligente esame della lastra radiografica;
- negligenza e imperizia nella somministrazione dell’epirubicina.
Il Tribunale ritiene le doglianze avanzate insussistenti.
Sulla scorta della CTU svoltasi in senso al giudizio di ATP è emerso che:
- Il PAC veniva impiantato verso le ore 13:00 con prova di reflusso positivo annotata in cartella in due schede, e correttamente inserito in posizione atrio – cavale, come accertato da radiografia toracica (refertata alle 14: 07) e confermato da successivo esame contrastografico del 20.6., attestante l’assenza di spandimenti attorno al dispositivo PAC.
- Subito dopo il controllo radiologico, la donna veniva inviata al Day Hospital per iniziare il trattamento infusivo, che prevedeva la somministrazione preliminare di farmaci antinausea (12 mg di desametasone in 100 cc di soluzione fisiologica per circa 15 ‘), seguita dalla terapia chemioterapica vera e propria, il cui inizio è annotato alle 15.10, con infusione di 960 mg. Di ciclofosfamide in 250 cc di soluzione fisiologica in 30 ‘; 100 ml di soluzione di sodio -cloruro in 15 ‘; 120 mg di epirubicina in 3 -4’.
- L’evento avverso si verificava verso le 15:50 (con quantità stravasata , e subito aspirata dalla tasca sottocutanea , stimata in 20 c.c. a fronte di somministrazione già avvenuta di almeno 350/400 c.c. ), alla fine del trattamento per via endovenosa mediante PAC (della durata complessiva di circa 6 3′-64 ‘ per infusione di totali 450 cc di liquido ) quando era in corso (in fase finale) la somministrazione dell’ultimo chemioteratico, l’epirubicina : in cartella, nello schema terapeutico, è annotato a mano (e sottoscritto da un medico) : “Ore 16. Al termine dell ‘infusione dell ‘epirubicina nel port, la paziente riferisce dolore e bruciore interno All ‘E.O. arrossamento e gonfiore del port. Applicato ghiaccio e aspirato dal port parte del farmaco. Successivamente applicato DMSO 90%”.
- Lo stravaso determinava indurimento e arrossamento di una porzione di cute di circa 16×10 cm . La lesione fu limitata alla regione periclaveale superiore sinistra con estensione verso l’alto (lungo il decorso del tunnel sottocutaneo creato per inserire il catetere), fino alla sede latero -cervicale omolaterale.
- Secondo la ricostruzione offerta dalla parte, il dolore e il bruciore furono percepiti alla fine della terapia a base di epirubicina (che durava 3 ‘-4’). Di contro, all ‘inizio della infusione endovenosa e sino alla somministrazione dell ‘epirubicina (durante la quale la paziente sarebbe stata sdraiata su un lettino) non vennero dalla stessa avvertiti fenomeni avversi al di fuori di una “sensazione, come di freddo e, in contemporanea, come se qualcosa di liquido stesse sbordando fuori dal petto. Al momento della percezione di bruciore al petto, anticipata da una vampata di calore in tutto il corpo, la paziente avvisava l ‘infermiera, che telefonava immediatamente alla dottoressa, la quale sopraggiungeva subito, chiedeva conto all’infermiera dell ‘occorso e interrompeva la terapia avvedendosi della presenza sottocute del liquido in quanto di colore rosso.
I CTU hanno confermato che “nel momento dell ‘esecuzione della rx , l’ago gripper era fuori sede. Non è obiettivabile se l ‘ago visibile (fuori sede) nella rx (che è uno degli aghi gripper di cui è dotato il kit del dispositivo port-a-cath ) sia lo stesso usato per l’infusione del chemioterapico alla donna..(..)..La letteratura scientifica annovera tre possibili cause (non si riporta la rottura del catetere, qui pacificamente insussistente) di (raro) stravaso di farmaco : (e.1.) leakage ovvero spandimento del farmaco che fuoriesce dallo spazio intorno all ‘ago correttamente posizionato ; (e.2) movimento involontario della paziente o dell’infermiera in corso di terapia ; (e.3) posizionamento dell ‘ago Gripper al di fuori dalla camera del PAC. Le prime due sono attribuibili al fortuito (non sono prevedibili e prevenibili). La terza impegna la responsabilità dei sanitari. In base ai dati clinici in atti, e sopra richiamati, è estremamente improbabile (se non impossibile) che l ‘ago non sia stato correttamente riposizionato dopo l ‘inizio della terapia infusiva e prima dello sversamento : in tal senso depongono l ‘esiguità del farmaco sversato rispetto a quello complessivamente somministrato senza dispersione nel sottocutaneo e la limitazione del danno alla tasca sottocutanea e agli organi interessati dal tunnel del catetere, dal quale risalì contro gravità”.
Ergo, la tesi attorea che vuole che l’ago Gripper fosse mal posizionato (per non essere stato sostituito o riposizionato dopo la rx) sino dall’inizio del trattamento risulta priva di fondamento clinico.
Aggiungasi che il protocollo del maggio 2013 della A.O.U. di gestione dei cateteri intravascolari non obbligava i sanitari a ripetere (e ad annotare in cartella) la prova del reflusso prima di ogni infusione, pratica che rientrava (e rientra) comunque nelle buone prassi infermieristiche routinarie; parimenti non sussisteva obbligo di annotazione in cartella di eventuali cambi o riposizionamenti dell’ago gripper .
Inoltre, come osservato nella seconda Consulenza del procedimento penale, “anche qualora fosse stato previsto dal protocollo, la prova periodica del reflusso del sangue durante l’infusione avrebbe potuto ridurre ma non azzerare il rischio di stravaso non potendosi prevedere e prevenire qualsivoglia movimento involontario atto a dislocare fuori sede l’ago.”
Pertanto, non è possibile concludere nel senso della non riconducibilità dell’evento dannoso patito dall’attrice alla responsabilità dei sanitari.
Ciò è allineato all ‘applicazione del principio del duplice ciclo causale alla c.d. causa incognita.
Ovverosia: lo stravaso del farmaco è sicuramento riconducibile alla cura chemioterapica in fase di espletamento; durante l’infusione è insorta una causa esterna (incognita), imprevedibile e inevitabile, che ha provocato l’ustione alla paziente.
Essendo, dunque, rimasta ignota la causa dello stravaso, non può essere imputata nessuna responsabilità alla Struttura e ai sanitari convenuti.
Anche la Suprema Corte ha chiarito che “..se resta ignota, anche mediante l’utilizzo di presunzioni, la causa dell’evento di danno, le conseguenze s favorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale; se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l’imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore”.
Le spese di lite vengono integralmente compensate tra le parti
Le spese di CTU, invece, vengono poste in ragione di ½ a carico delle parti.
Avv. Emanuela Foligno
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