Gli attori chiedevano il risarcimento dei danni subiti in seguito alla lesione dell’integrità psicofisica patita dalla dannegiata a causa di trattamenti sanitari inadeguati

“La liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidità temporanea e di quella permanente; quest’ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, mentre, ai fini della liquidazione del danno da invalidità temporanea, laddove il danneggiato si sia dovuto sottoporre a periodi di cure, necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto dannoso e/o impedire il suo aumento, gli va riconosciuto un danno da inabilità temporanea totale o parziale per tali periodi, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto, dovendosi inoltre tenere anche conto nella liquidazione complessiva del danno non patrimoniale delle relative sofferenze morali soggettive, eventualmente da egli patite negli indicati periodi”.

E’ il principio affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 7126/2021 nell’accogliere il ricorso presentato da un genitore che aveva agito in giudizio, in proprio e quale legale rappresentante della figlia minore, contro l’Azienda sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito a trattamenti sanitari inadeguati cui era stata sottoposta la ragazza presso la Divisione di Odontoiatria di un ospedale pubblico.

Le domande erano state rigettate dal Tribunale. La Corte di Appello, in riforma della decisione di primo grado, le aveva invece parzialmente accolte, condannando l’Azienda sanitaria a pagare l’importo di Euro 25.000,00 in favore della figlia e l’importo di Euro 3.471,60 in favore del padre , oltre accessori.

Gli attori si rivolgevano però alla Suprema Corte denunciando “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2047 e 2059 c.c.: per avere la Corte di Appello ritenuto che il periodo di trattamento necessario per evitare un aggravamento del quadro clinico e contenere gli effetti negativi delle cure negligenti, sino alla stabilizzazione dei postumi, non potesse essere liquidato come danno da invalidità temporanea ma fosse assorbito dal danno da invalidità permanente. Eccepiuvano, inoltre, che il Giudice di secondo grado avesse personalizzato il danno non patrimoniale subito dalla ragazza “senza tener conto del reale periodo di invalidità temporanea”.

Gli Ermellini hanno effettivamente ritenuto di aderire alle doglianze proposte. in quanto fondate.

Il Collegio distrettuale, infatti, aveva respinto la pretesa dell’attrice di ottenere il riconoscimento del danno da invalidità temporanea per l’intero periodo (pari a circa undici anni) in cui era stata sottoposta a cure odontoiatriche/ortodontiche finalizzate a contenere e stabilizzare i danni riportati a seguito dell’incidente (e del successivo inadeguato trattamento medico ricevuto), liquidando esclusivamente il danno derivante dall’inabilità temporanea per i quaranta giorni del suo ricovero ospedaliero (oltre al danno da invalidità permanente, danno che risultava correttamente valutato in base alla situazione della danneggiata come stabilizzatasi all’esito delle indicate cure).

Per la Cassazione, invece, il periodo in cui la danneggiata era stata sottoposta al trattamento odontoiatrico/ortodontico finalizzato a contenere e stabilizzare i postumi riportati a seguito dell’evento dannoso, avrebbe senz’altro dovuto essere preso in considerazione ai fini della liquidazione del danno da invalidità temporanea (anche in considerazione dell’incidenza notoriamente pregiudizievole, sotto il profilo funzionale e della vita di relazione, di tali trattamenti), dovendo l’incidenza dell’invalidità permanente essere valutata solo all’esito della stabilizzazione della sua condizione, determinatasi con la conclusione del trattamento in questione.

Nella valutazione di tale pregiudizio, in particolare, avrebbe dovuto considerarsi sia il profilo dell’inabilità temporanea determinata dai trattamenti, per tutta la loro durata, sia (nell’ambito della complessiva liquidazione del danno non patrimoniale) il profilo delle eventuali conseguenti sofferenze morali o psicologiche patite dalla danneggiata a causa degli stessi.

La redazione giuridica

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