Accolto il ricorso di una donna coinvolta in un sinistro stradale contro l’esclusione della risarcibilità del danno biologico derivante da lesioni micropermanenti  

In tema di risarcimento del danno da lesioni micropermanenti, “l’accertamento della sussistenza della lesione dell’integrità psico-fisica deve avvenire con criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi; al riguardo l’esame clinico strumentale non è l’unico mezzo utilizzabile, salvo che ciò si correli alla natura della patologia”.

Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 24175/2020 pronunciandosi sul ricorso di una donna coinvolta in un sinistro stradale mentre era alla guida del proprio ciclomotore, contro la sentenza con cui la Corte di appello aveva escluso il danno biologico cd. permanente, ribaltando la decisione del primo giudice che invece lo aveva riconosciuto nella misura del 2%.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte la ricorrente deduceva l’erronea applicazione della normativa in materia di lesioni da micropermanenti, censurando, nel concreto, l’apprezzamento di insussistenza di danno biologico permanente effettuato dal Tribunale.

I Giudici Ermellini hanno effettivamente ritenuto di aderire alla doglianza proposta in quanto fondata.

La sentenza in scrutinio, infatti, aveva escluso la risarcibilità del danno biologico cd. permanente in quanto non accertato strumentalmente, e non più accertabile all’epoca dell’effettuazione dell’indagine peritale svolta dal perito d’ufficio.

La Cassazione ha invece ritenuto che l’affermazione di non risarcibilità del danno biologico cd. permanente – posta a base della decisione del Tribunale, in quanto non riscontrabile in base ad indagini clinico- strumentali, né visivamente percepibile, ossia ad “ad occhio” – non appariva adeguata ed era frutto di una interpretazione non corretta della normativa di riferimento. Il Giudice a quo, nello specifico,  aveva escluso la rilevanza delle indagini mediche diverse dagli esami clinico strumentali senza motivare adeguatamente sul punto.

La redazione giuridica

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