In caso di licenziamento illegittimo, quando il lavoratore chieda l’indennità risarcitoria, il datore di lavoro non può sottrarsi al pagamento, offrendo la riassunzione

La Corte d’appello di Bari aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da un consorzio ad un proprio dipendente, ordinandone l’immediata riassunzione e il pagamento di una indennità risarcitoria in misura di sei mensilità dall’ultima retribuzione.

Contro tale sentenza il consorzio ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 L. n. 604/1966 per la concorrente, anziché alternativa (“o in mancanza” come previsto dalla norma) condanna alla riassunzione del lavoratore “e” al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura di sei mesi, senza alcuna giustificazione al riguardo.

La Corte di Cassazione (Sezione Lavoro, ordinanza n. 5406/2020) ha accolto il motivo perché fondato.

Come è noto, nell’ambito della tutela cosiddetta obbligatoria nei confronti del licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, secondo la disciplina delle leggi n. 604/1966 e n. 108/1990, la previsione di alternatività tra riassunzione e risarcimento del danno comporta che il pagamento della indennità risarcitoria, qualora il rapporto di lavoro non si ripristini, sia sempre dovuto (senza che rilevi quale sia il soggetto e quale la ragioni per cui ciò si verifichi): dovendosi anche tener conto che la riassunzione ai sensi dell’art. 8 legge citata, a differenza della reintegrazione a norma dell’art. 18 l. 300/1970, determina la ricostituzione ex nunc del rapporto di lavoro, sicché l’offerta datoriale di riassunzione corrisponde alla proposta contrattuale di un nuovo rapporto, che deve essere accettata dal lavoratore secondo le regole generali sulla formazione dei contratti; con la conseguenza che, quando il lavoratore chieda il pagamento dell’indennità, il datore di lavoro, ove risulti confermata la mancanza di una valida giustificazione del licenziamento, non può sottrarsi al pagamento dell’indennità offrendo la riassunzione (Cass. n. 2846/2002; Cass. n. 4521/2011; Sezioni Unite n. 27436/2017).

Una tale interpretazione – hanno aggiunto gli Ermellini – è conforme ai principi costituzionali, per la natura alternativa delle due obbligazioni di riassunzione e risarcimento del danno (Corte cost. n. 194/1970; n. 44/1996).

La Corte di Cassazione ha inoltre, accolto la censura relativa alla determinazione dell’indennità risarcitoria.

Al riguardo, la giurisprudenza ha già chiarito che la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità risarcitoria prevista dall’art. 8 L. n. 604/1966 (sostituito dall’art. 2 L. n. 108/1990), in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, per il quale non sia applicabile la disciplina della cosiddetta stabilità reale, spetta al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. n. 13380/2006; Cass. n. 1320/2014).

Ebbene, nel caso in esame tale indennità era stata apoditticamente fissata in sei mensilità dall’ultima retribuzione globale di fatto senza una parola di giustificazione.

Per queste ragioni la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio della causa alla corte d’appello di Bari in diversa composizione, per l’ulteriore corso.

La redazione giuridica

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