L’interesse che determina l’incapacità a testimoniare è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale che comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati.
Il caso
Otto lavoratori citano a giudizio il datore lamentando la mancata corresponsione del trattamento di fine rapporto e di indennità di ferie non godute.
Il Tribunale di Venezia, all’esito della riunione dei procedimenti relativi ai ricorsi separatamente introdotti dagli otto lavoratori, condanna la società a titolo di responsabilità solidale ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n. n. 276/2003, a pagare ai lavoratori ricorrenti gli importi per ognuno di essi indicati, oltre accessori di legge dalle singole scadenze al saldo effettivo.
La Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello proposto dalla S.p.A. contro la sentenza n. 229/2016.
L’intervento della Cassazione
Per quanto qui di interesse, la società datrice deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 246 cpc anche in relazione agli artt. 115, 116 e 132, n. 4. Sostiene che la sentenza sarebbe nulla o, comunque, illegittima nella parte in cui la Corte territoriale ha fondato l’accertamento dei fatti costitutivi delle domande dei lavoratori sulla base di prove assunte dal Giudice di primo grado (testimonianze) nulle o, comunque, inattendibili perché rese “reciprocamente” da soggetti aventi nella causa un interesse, segnatamente degli stessi lavoratori, all’epoca ricorrenti, parti della medesima causa, senza nulla motivare sul punto.
Ebbene, l’art. 246 cpc, di cui viene censurata la violazione, recita che: “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”.
La norma “condensa” il principio di incompatibilità tra la posizione di parte (anche solo potenziale) e di testimone. L’interesse in causa di cui parla la norma è infatti ritenuto coincidente con quello di cui all’art. 100, che costituisce una delle condizioni determinanti la c.d. ipotetica accoglibilità della domanda.
L’incapacità a testimoniare
L’interesse che impedisce la testimonianza deve essere personale, concreto ed attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante intervento principale, adesivo autonomo o adesivo dipendente ai sensi dell’art. 105.
Si esclude, invece, l’applicabilità della norma nei confronti di coloro che nella causa abbiano un interesse di mero fatto, situazione che si verifica, ad esempio, quando la persona chiamata a testimoniare sia parte di una autonoma controversia in merito a questioni analoghe a quelle oggetto del processo in cui si vuole sia sentita. Per logica, la norma non si applica alle ipotesi in cui il teste sia a sua volta parte in una causa connessa e riunibile con quella nella quale deve deporre (artt. 40 e 274), ma la riunione non sia avvenuta.
La valutazione in ordine alla sussistenza dell’interesse del terzo è lasciata al discrezionale apprezzamento del Giudice e, se adeguatamente motivata, non può essere sindacata in sede di legittimità.
La ratio della norma la si può ricavare dalla seguente citazione “Nemo testis in causa propria”: così i latini esprimevano il principio dell’incompatibilità tra la posizione processuale di parte (attuale o potenziale) e quella di testimone, principio sancito dall’articolo in commento.
È superfluo precisare che “l’interesse” citato dalla norma è quello giuridico e non quello economico.
Ciò posto, la Corte di appello di Venezia ha innanzitutto considerato che non rilevava, “in relazione al profilo della capacità a deporre, la circostanza che coloro che hanno deposto quali testi rivestissero la qualità di parte nel diverso, specifico, procedimento da ciascuno di essi attivato, seppur successivamente riunito a quello “portante”, atteso che i singoli processi, pur formalmente riuniti, mantengono pur sempre la propria autonomia”.
L’interesse che determina l’incapacità a testimoniare è solo quello comporta legittimazione a proporre l’azione
Sul piano giuridico, tale considerazione è conforme al consolidato orientamento ormai ventennale, anche di recente confermato (Cass., sez. lav., 7/9/2023, n. 26044), secondo cui l’interesse che, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., determina l’incapacità a testimoniare è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale che comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati.
Questo significa che non ha alcuna rilevanza l’interesse di mero fatto che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui depone, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto, senza che assuma rilievo il fatto che quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui dev’essere resa la testimonianza; né l’incapacità a testimoniare può sorgere in caso di riunione di cause connesse per identità di questioni, incidendo detta riunione solo sull’attendibilità delle deposizioni.
Oltre a ciò, i Giudici di appello hanno correttamente osservato che le testimonianze assunte in primo grado non avevano “formato oggetto di specifica contestazione nel ricorso d’appello sotto il profilo della loro contraddittorietà intrinseca ed estrinseca”.
La società ricorrente, comunque, non ha considerato che il Giudice di appello, dopo aver dato conto delle tre testimonianze rese da taluni degli attori in primo grado, ha formato il suo convincimento anche sulle emergenze tratte “dalla documentazione prodotta dalla stessa società datrice di lavoro”.
Ricorso rigettato con condanna alle spese di giudizio (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, 5 novembre 2024, n. 28419).
Avv. Emanuela Foligno