Mastectomia malriuscita, condannati una clinica e un ospedale

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mastectomia

La paziente si è sottoposta ad un intervento di mastectomia presso la struttura sanitaria privata Medicenter. L’operazione ha avuto esito negativo e ha comportato serie complicanze per la paziente, la quale è stata poi sottoposta a dei trattamenti volti a rimediare al danno, effettuati presso il Presidio ospedaliero di cui è responsabile la Provincia Sicula.

La donna, prima del giudizio di merito, ha effettuato un accertamento tecnico preventivo da cui è emersa una responsabilità dei sanitari intervenuti.

La vicenda giudiziaria

Chiamati in giudizio sono stati il chirurgo, la Medicenter e infine la Provincia Sicula, responsabile del presidio ospedaliero di Casoria presso il quale, come detto, sono stati effettuati gli interventi riparatori.

Il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda ritenendo in pari grado responsabile sia la clinica privata ove è avvenuto il primo intervento di mastectomia, che l’Ospedale di Casoria. Quindi ha liquidato un danno proprio biologico e morale alla paziente ed un danno riflesso ai congiunti. La decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Napoli.

La Provincia Sicula propone ricorso per Cassazione, che respinge.

Contesta il riconoscimento di pari responsabilità con l’altra struttura sanitaria deducendo che il suo ruolo sia stato in realtà di minor rilievo, in quanto il danno era stato già fatto nella prima struttura – dove è stata effettuata la mastectomia – mentre il ricovero successivo era finalizzato soltanto a rimediare ai danni gravi già causati dal primo intervento.

La doglianza non coglie nel segno (Cassazione civile, sez. III, 07/10/2024,n.26172).

La ratio della decisione impugnata, che ripartisce in quota uguale la responsabilità, è fondata sul fatto che non è stato possibile provare quale fosse la misura in cui le diverse condotte avevano inciso sul danno. I Giudici di merito espressamente richiamano la CTU che, proprio su tale questione, aveva ritenuto impossibile stabilire quale fosse l’incidenza delle singole condotte.

La condanna in via solidale della struttura privata e dell’ospedale

La censura della Provincia, invece, mira a contestare la eguale ripartizione delle colpe sulla base di una diversa ricostruzione dei fatti, e vale a dire sostenendo che il primo intervento era più grave del secondo, e dunque in modo inammissibile in Cassazione.

Vi è poi una ulteriore censura in tale motivo, relativa alla condanna subita sia in primo che in secondo grado al pagamento delle spese maggiorate ex articolo 96/3 comma cpc: ciò sulla base del fatto che l’Ospedale non aveva aderito alla proposta di mediazione fatta dai danneggiati.

I Giudici di appello, non essendo emersa prova certa sul contributo di ciascuna delle parti, ha presunto un eguale contributo, con eguale responsabilità. Inoltre, la doglianza è inammissibile in quanto mira a contestare la ratio decidendi sul presupposto di fatto che il primo intervento era più grave del secondo, ossia quello eseguito presso la struttura della ricorrente, e che dunque la causa del danno doveva ritenersi il primo e non il secondo, e che, comunque, se il danno morale era liquidato sulla base di un illecito penale, solo nel primo intervento si era verificato l’illecito, ossia le lesioni, e non già nel secondo.

Anche qui è evidente che la censura presuppone accertamenti in fatto, quali la gravità delle condotte riferibili alle rispettive parti, che in Cassazione non può essere ammesso e che è stato compiuto dalla Corte di merito, nei termini indicati in precedenza.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali della misura di 6.000 euro, oltre 200 euro per esposti ed oltre spese generali al 15% dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

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