L’omessa acquisizione del consenso informato determina la lesione della libera determinazione del paziente a prescindere dalla presenza di conseguenze negative sul piano della salute, e dà luogo ad un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile. Consenso informato generico ma rispondente ai protocolli previsti al momento dell’intervento di mastoplastica (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 5 giugno 2025, n. 15063).
L’intervento di mastoplastica per una malformazione congenita al seno
La paziente lamenta nei confronti della ASL Roma/C errata esecuzione di intervento per la riduzione del volume mammario posta in essere per risolvere una malformazione congenita al seno (gigantomastia bilaterale), cui si era sottoposta in data 10 novembre 1997. Nello specifico lamenta che in conseguenza dell’intervento di mastoplastica e dell’insufficiente assistenza post-operatoria aveva ottenuto un risultato antiestetico, riportando un’asimmetria mammaria ed evidenti esiti cicatriziali.
Il Tribunale di Roma respinge la domanda. In secondo grado, previa CTU collegiale, il gravame viene respinto. I Giudici di appello, basandosi sulla CTU, hanno ritenuto esenti da responsabilità i medici esecutori dell’intervento chirurgico di mastoplastica eseguito sulla donna che, evidentemente, auspicava un risultato estetico migliore da un intervento con finalità non estetiche, bensì terapeutiche, in presenza di fibroadenomi.
Hanno inoltre ritenuto che sebbene il consenso informato firmato dalla paziente fosse generico, esso era stato elargito secondo i modelli e protocolli previsti in quel momento (1997) e nelle strutture sanitarie pubbliche. Questi aspetti, tuttavia, sempre secondo la Corte di secondo grado, non avrebbero inciso sulla scelta della paziente di operarsi, perché necessitava di migliorare la sua salute, né sul risultato terapeutico ottenuto che, a fronte degli anni trascorsi, era stato ritenuto tuttora accettabile.
L’intervento della Cassazione
La paziente lamenta come erronea la pronuncia di inammissibilmente inerente la domanda risarcitoria per carenza di consenso informato “in quanto la domanda – come anche rilevato dal Giudice di prime cure – è stata prospettata per la prima volta nella memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. ed essendo domanda nuova è inammissibile”.
La paziente, in sostanza, deduce che il consenso informato, da ella firmato in data 8.11.1997, non conteneva traccia alcuna della finalità terapeutica ma si riferiva a un intervento di “mastoplastica riduttiva bilaterale”. Nessun riferimento vi era poi alla strumentalità dell’intervento per la cura di patologie fibroadenomiche e deduce che, dall’escussione dei testi presenti alla visita del consenso informato, è risultato che nulla in merito fosse stato riferito dai medici. Sottolinea che il riferimento alla presenza di “formazioni nodulari riferibili a fibroadenomi” compare unicamente a seguito di ecografia del 10.11.1997, lo stesso giorno cui ella è stata sottoposta all’ intervento di mastoplastica.
L’omessa acquisizione del consenso informato preventivo al trattamento sanitario determina la lesione della libera determinazione del paziente
La Cassazione preliminarmente ricorda l’ormai noto indirizzo secondo cui, in tema di responsabilità sanitaria, l’omessa acquisizione del consenso informato preventivo al trattamento sanitario determina la lesione della libera determinazione del paziente, quale valore costituzionalmente protetto dagli artt. 32 e 13 Cost. Pertanto, la carenza del consenso informato può essere causa di danno risarcibile anche a prescindere dalla presenza di un danno alla salute (in tal senso vengono citate Cass. Sez. 3 -, n. 17022 del 28/06/2018; Cass. Sez. 3, n. 33290 del 19/12/2024).
Ai fini della risarcibilità del danno sia alla salute, sia al diritto all’autodeterminazione, possono verificarsi distinte ipotesi, tutte differenti l’una dall’altra, in cui il rapporto di complementarietà del consenso informato con il diritto alla salute si atteggia in maniera del tutto differente, sino a potersi completamente distaccare dal medesimo.
Difatti, se ricorrono a) il consenso presunto, b) il danno iatrogeno, c) la condotta inadempiente o colposa del medico, è risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria.
La lesione del diritto all’autodeterminazione è autonoma rispetto al diritto alla salute
Nel caso qui in esame rileva l’ipotesi in cui la lesione del diritto all’autodeterminazione si atteggia come del tutto autonoma rispetto al diritto alla salute: è il caso in cui il paziente deve allegare e provare che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente.
Ciò detto, riguardo la correttezza, o meno, della rilevata inammissibilità per assunta novità della domanda di accertamento della responsabilità sanitaria per mancato consenso informato, perché tardivamente formulata, la paziente avrebbe dovuto indicare i termini esatti della “nuova domanda” proposta in sede di memorie ex art. 186 ter c.p.c. e del motivo di appello dichiarato inammissibile, onde consentire alla S.C. un esame sulla natura complementare, o meno, della nuova questione rispetto alla domanda iniziale, volta al risarcimento del danno inferto al diritto alla salute per inadempiente esecuzione della prestazione sanitaria (SS.UU. 34469/2019). Per tale ragione la censura non è scrutinabile.
Sulle lamentate critiche alle conclusioni dei CTU la S.C. fa presente che il ruolo del Consulente d’Ufficio è quello di assistere il Giudice, per il compimento di singoli atti o per l’intero processo, prestando la propria opera e consulenza in base a specifiche competenze tecniche, e il Giudice non deve “adagiarsi” o “piegarsi” sulle risultanze della CTU, ma deve considerare le specifiche osservazioni mosse dal CTP e darne conto.
Il nesso eziologico per il danno estetico
Ulteriore nucleo della motivazione della sentenza impugnata è il seguente: “Ciò posto, rileva il collegio che non essendo emersi profili di colpa a carico del chirurgo nell‘esecuzione dell’intervento di mastoplastica e non avendo l’attuale appellante assolto all’onere probatorio posto a suo carico di dimostrare che il danno estetico lamentato sia riconducibile in nesso eziologico all’intervento in oggetto, l’appello non può che essere rigettato.”
Ebbene, sul nesso causale i Giudici di appello avrebbero, secondo la paziente, meramente aderito alle conclusioni del CTU senza considerare la domanda di merito relativamente alla corretta qualificazione dell’intervento chirurgico. Anche questa doglianza è inammissibile perché, senza rispettare il principio di autosufficienza e specificità critica l’esito del giudizio di merito, non esponendo i passaggi motivazionali coi quali è stato ritenuto non assolto l’onere probatorio in tema di nesso causale.
È pacifico che la paziente non si è confrontata correttamente con la motivazione della Corte di appello che ha ritenuto non provata la dedotta responsabilità medica alla luce delle considerazioni sopra svolte.
Conclusivamente il ricorso viene dichiarato totalmente inammissibile.
Avv. Emanuela Foligno