Il 13 luglio 2000 quando la donna era alla 36ma settimana di gravidanza si è verificata la morte intrauterina del figlio a causa della mancata esecuzione del taglio cesareo.
La vicenda giuridica
Il Tribunale di Cassino accoglie la domanda risarcitoria avanzata dal genitore riconoscendo la responsabilità dei medici dell’Ospedale di Pontecorvo a titolo di risarcimento subito a causa della morte intrauterina del figlio, nato morto il 13 luglio 2000 a causa della mancata esecuzione del taglio cesareo.
La madre propone appello invocando anche la perdita del rapporto parentale e la Corte di Roma, in riforma parziale della sentenza di primo grado, ha condannato l’Azienda Sanitaria al pagamento della ulteriore somma di 140.000 euro, detratto da detto importo quanto eventualmente già corrisposto.
Il ricorso in Cassazione
La donna impugna anche questa decisione in relazione alla liquidazione del danno da perdita della genitorialità per violazione degli artt. 1223,1226, 2056, 2059 cc, deducendo mancata indicazione dei criteri e parametri utilizzati e contrasto tra le affermazioni contenute nella motivazione e la decisione emessa.
La censura della donna è fondata. La Corte di Roma ha svolto una liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in maniera “apodittica” (così si esprime la Cassazione), senza indicare il percorso logico giuridico seguito con particolare riferimento ai parametri e ai criteri utilizzati per giungere ad indicare il complessivo importo liquidato (Cassazione civile, sez. III, 19/08/2024, n.22899).
L’errore della Corte di Appello
I Giudici di secondo grado hanno ritenuto di condividere “il metodo risarcitorio adottato dal Tribunale con applicazione non automatica delle Tabelle milanesi per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale”, richiamando correttamente, sul punto, i principi giurisprudenziali secondo cui, in particolare, “la lesione va calcolata in ragione della qualità e quantità della relazione affettiva con la persona perduta che, nella peculiarità del caso in esame, trattandosi di un figlio nato morto, tale relazione è solo potenziale (Cass. Sez. 3, 19/06/2015 n. 12717) e affermando, pertanto, che tra la madre e il figlio ancora in grembo vi è un rapporto affettivo che si rafforza nel corso della gravidanza, ragion per cui i criteri tabellari possono costituire un punto di partenza per la liquidazione, pur sempre equitativa, del danno non patrimoniale subito dalla madre”.
Richiamato tale principio, tuttavia, al momento della liquidazione, i Giudici, pur facendo riferimento alle peculiari circostanze della vicenda come “altamente drammatiche” (essendo avvenuta la morte intrauterina del feto quando la ricorrente era giunta alla 36ma settimana di gravidanza e per le modalità attraverso cui la gestante apprese la notizia) e considerando la composizione ridotta del nucleo familiare della danneggiata (un marito e una figlia), ha concluso affermando che “appare congruo liquidare complessivamente la somma di 140.000 euro che tiene conto di ogni pregiudizio subito sino ad oggi dalla danneggiata anche della ritardata liquidazione“.
Mancano, quindi, l’indicazione dei parametri e dei criteri utilizzati che hanno condotto all’indicato complessivo importo.
Avv. Emanuela Foligno