Sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano i posti disponibili in azienda ai fini del repêchage, la mancanza di allegazioni circa l’esistenza di una posizione lavorativa disponibile vale a corroborare il descritto quadro probatorio

La vicenda

In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello di Milano, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato da una società cooperativa ad un proprio dipendente e, dichiarato risolto il rapporto di lavoro alla data del recesso, condannava quest’ultima, ai sensi dell’art. 18, commi 7 e 5, legge n. 300/70, al pagamento dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva, determinata nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre interessi e rivalutazione.

A fondamento della propria decisione, la corte di merito aveva posto il mancato assolvimento, da parte della società convenuta, dell’onere di provare l’impossibilità del repêchage, richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare l’effettività delle ragioni sottese al provvedimento espulsivo e l’inutilizzabilità del lavoratore in altre posizioni equivalenti.

Nel caso in esame, la società aveva dedotto che gli appalti in essere al tempo del licenziamento richiedevano l’erogazione di servizi specialistici che potevano essere svolti solo da personale in possesso di elevate competenze ed esperienze, in ambito bibliotecario ed archivistico, oltre che di elevate competenze linguistiche, ossia di requisiti non posseduti dal licenziato, che si era sempre ed esclusivamente occupato della mera attività di digitalizzazione di documenti e della gestione pratica del magazzino.

La Corte aveva osservato che nulla era stato dimostrato al riguardo; al contrario la società aveva assunto nuovi addetti, dei quali non era neppure stata provata la qualifica di inquadramento, mentre per uno di essi le mansione di “addetti ai servizi di archivio” evocava le mansioni a suo tempo assegnate al reclamante.

La pronuncia della Cassazione

La Sezione Lavoro della Cassazione (sentenza n. 23789/2019) ha confermato la decisione di merito, affermando che “incombe sul datore di lavoro l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda nonché l’impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore all’interno dell’azienda”.

La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che, “in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano i posti disponibili in azienda ai fini del repêchage, gravando la prova della impossibilità di ricollocamento sul datore di lavoro, una volta accertata, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, tale impossibilità, la mancanza di allegazioni del lavoratore circa l’esistenza di una posizione lavorativa disponibile vale a corroborare il descritto quadro probatorio”.

Spetta, poi, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto, che ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.

Nella specie, la corte d’appello aveva applicato il principio dell’onere della prova, ritenendo che la società convenuta, tenuta a dimostrare l’impossibilità del repêchage non avesse assolto tale onere.

Per tutte queste ragioni il ricorso è stato respinto e condannata la società anche al pagamento delle spese di giudizio e al contributo unificato aggiuntivo.

La redazione giuridica

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