Entrambi i Giudici di merito rigettano la domanda dei congiunti inerente il turbamento patito per il non corretto trattamento della paziente ricoverata per un’occlusione intestinale, poi risolta il giorno successivo. La Corte di Cassazione conferma (Cassazione civile, sez. III, 27/07/2024, n.21068).
I fatti
Tribunale di Velletri e Corte di appello di Roma rigettano la domanda avanzata dai congiunti della paziente per il risarcimento del danno morale patito in conseguenza del patema d’animo provato nell’apprendere della grave ed imminente messa in pericolo della vita della familiare per le colpose inadempienze dei sanitari dell’Ospedale di Albano Laziale.
Il suddetto ospedale dimetteva la donna “senza risolvere l’occlusione intestinale per la quale era stata ricoverata e senza trattare lo scompenso cardiaco dal quale era risultata affetta” e ciò dal momento delle dimissioni dell’11 maggio 2014, alle ore 13, sino al termine dell’intervento chirurgico con esito positivo effettuato presso l’Ospedale San Camillo di Roma il 12 maggio 2014.
La Corte di Roma ha evidenziato “pur sostituendo alle condotte imprudenti, imperite e/o negligenti e/o addirittura volontarie ascritte ai sanitari dell’Ospedale di Albano Laziale per il mancato trattamento delle problematiche legate all’occlusione intestinale occorsa alla paziente … e quelle collegate a un probabile scompenso cardiaco congestizio, preesistente al ricovero, l’elemento controfattuale della corretta rilevazione e del corretto trattamento, necessario, di dette patologie (senza alcun postumo a carico della paziente), rimarrebbe, comunque, immutato il segmento causale successivo, risultando comunque ineliminabile lo stress e il turbamento connessi alla diagnosi e al trattamento chirurgico corretti effettuati dal personale medico del San Camillo a poche ore di distanza dalle dimissioni dall’ospedale di Albano” …
La condotta dei medici
“È da escludere la sussistenza del nesso causale tra le condotte omissive ascritta ai sanitari dell’Azienda USL Roma 6 che hanno avuto in cura la Ma. e i danni morali patiti dagli appellanti, in quanto gli errori diagnostici e terapeutici, al pari dei trattamenti alternativi corretti poi praticati presso l’ospedale San Camillo, appaiono del tutto indifferenti rispetto all’insorgenza della successiva e temporanea condizione di stress e di turbamento dai medesimi lamentati, protrattasi, secondo la loro prospettazione per poco più di ventiquattro ore, trovando essa il suo diretto antecedente causale nelle pregresse patologie delle quali la donna era già affetta al momento del suo accesso al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Albano Laziale e in considerazione del fatto che i sanitari le avrebbero dovute trattare, sia pure con un giorno di anticipo, nello stesso modo per ottenere gli stessi risultati”.
In altri termini, la Corte di appello ha svolto il seguente ragionamento: anche se i sanitari dell’Ospedale di Albano avessero informato la paziente e i familiari sin dall’inizio dell’imminente pericolo di vita e che si sarebbe dovuta sottoporre a un intervento estremamente rischioso, viste le patologie pregresse dalle quali la stessa era affetta, i danni morali invocati in giudizio non sarebbero stati evitati, ma si sarebbero prodotti con un giorno di anticipo e con la stessa intensità, essendo pacifico che le condizioni della paziente erano già gravi al momento del suo accesso al Pronto Soccorso dell’ospedale di Albano, ed essendo in ogni caso l’intervento svolto presso il San Camillo altrettanto rischioso anche se effettuato con un giorno di anticipo.
La domanda azionata, pertanto, risulta sguarnita del nesso causale e correttamente i Giudici del merito l’hanno rigettata.
Il vaglio della Cassazione
Viene censurato che la Corte territoriale non solo avrebbe operato una carente lettura degli atti di causa, nell’affermare che “il danno morale si sarebbe comunque realizzato nei ricorrenti un giorno prima all’Ospedale di Albano Laziale, in quanto il giorno prima la paziente non aveva una fibrillazione atriale con scompenso cardiaco congestizio e abbondante versamento pleurico e peritoneale e che, di contro, il patema d’animo si ebbe nei ricorrenti proprio nel dovere affrontare il giorno 12/05/2014 un intervento d’urgenza, dopo avere avuto tale patologia mortale succitata il giorno 11/05/2014″.
Il ricorrente evidenzia, altresì, che se la paziente fosse stata trattenuta presso l’Ospedale di Albano Laziale ed ivi sottoposta ad intervento chirurgico, si sarebbe potuto evidenziare lo scompenso cardiaco, accertare la briglia aderenziale con comunicazione alla paziente e al figlio della necessità di un’operazione d’urgenza in presenza di “problema cardiaco” che poteva condurre alla morte.
Il nesso causale
Entrambe le doglianze sono rivolte a quella parte della sentenza che ha ritenuto insussistente il nesso causale tra le condotte ascritte ai sanitari dell’Ospedale di Albano Laziale (omesso trattamento delle patologie: occlusione intestinale e, quindi, scompenso cardiaco congestizio) e i danni morali patiti dagli attori, poiché questi si sarebbero comunque prodotti “con un giorno di anticipo e con la stessa intensità” se la paziente e il figlio fossero stati informati “sin dall’inizio” della situazione “imminente pericolo di vita con necessità di intervento estremamente rischioso.
Le doglianze, in sintesi, criticano una asserita erronea valutazione sulla portata dell’intervento chirurgico necessitante alla donna e svolto al San Camilo il giorno successivo. Non vengono correttamente colte le motivazioni della Corte che ha correlato la rischiosità dell’intervento non alla sua intrinseca natura, ma alle “patologie pregresse della paziente”.
Riguardo, invece, alla rappresentata violazione delle norme sulla prova per presunzioni, la S.C. rammenta che è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo quado il Giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva, oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso.
Invece, le censure tendono alla ricostruzione fattuale differente da quella posta a fondamento della decisione di secondo grado che muove da un elemento tratto dalla CTU, ovverosia, che lo “scompenso cardiaco congestizio era preesistente al momento del ricovero presso l’Ospedale di Albano e dai sanitari del medesimo nosocomio non adeguatamente trattato con terapia medica“.
Il ricorso viene integralmente rigettato.
Avv. Emanuela Foligno
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