Il danno di natura patrimoniale derivante dalla perdita di capacità lavorativa specifica richiede un giudizio prognostico sulla compromissione delle aspettative di lavoro in relazione alle attitudini specifiche della persona e al reddito perduto a causa dell’evento lesivo (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 4 marzo 2025, n. 5703).
Citazione in giudizio e risarcimento
La vittima citava in giudizio il Comune di Antrodoco e l’impresa edile per ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito della caduta avvenuta il 17 luglio 2009, in una strada sovrastante la propria abitazione. In particolare, il terreno, che faceva parte del cantiere dove la ditta stava svolgendo lavori per conto del Comune, era franato, provocando appunto la caduta della vittima che rotolava per diversi metri; ne erano derivate gravi lesioni, a causa delle quali era risultato invalido e aveva ottenuto dall’INPS l’assegno di invalidità ordinaria, ai sensi dell’art. 1 L n. 222/1984.
La decisione del Tribunale di Rieti
Il Tribunale di Rieti, in accoglimento della domanda attorea, condannava in solido il Comune (quale proprietario dell’area, dove si era verificato il sinistro) e l’impresa edile (che aveva svolto per il Comune lavori di protezione ambientale, difesa del territorio e contrasto a fenomeni di dissesto geologico interessanti la medesima area) al risarcimento dei danni che quantificava in euro 372.333,29 per i danni non patrimoniali e in euro 179.734,85 per quelli patrimoniali.
Inoltre, in accoglimento della domanda di garanzia, condannava la compagnia assicurativa chiamata in causa a tenere indenne la ditta dal pagamento delle somme che quest’ultima era stata condannata a corrispondere all’attore.
Corte di Appello e risultati parziali
La Corte di appello respingeva il gravame della vittima che intendeva ottenere una maggiore liquidazione del danno: invece in parziale accoglimento di quelli incidentali (del Comune e dell’Assicurazione), riduceva la somma dovuta al danneggiato a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, defalcando dalle somme a tale titolo attribuite al danneggiato quanto già corrisposto dall’INPS sempre a titolo di danno patrimoniale. In parziale accoglimento della domanda di surroga svolta dall’intervenuto INPS, condannava il Comune e la ditta in solido tra loro, al rimborso, in favore dell’Istituto, delle somme erogate da quest’ultimo in favore del danneggiato nei limiti del danno patrimoniale accertato; ma respingeva la stessa domanda di condanna nei confronti della Compagnia.
Il Comune introduce l’intervento della Cassazione
La Corte di appello ha ritenuto che la liquidazione operata dal primo Giudice fosse stata esaustiva dei danni non patrimoniali sofferti, poiché:
dall’espletata CTU era emerso che tutti i postumi riportati dalla vittima, compromissione della deambulazione (marcia con accenno di carico a destra claudicante con necessità di appoggio). Disfunzione erettile e sfinterica comportante problemi di incontinenza e impotenza, nonché la riscontrata Sindrome post-traumatica da stress, avevano concorso a determinare la quantificazione del danno all’integrità psicofisica dello stesso nella misura del 48%.
La vittima nulla aveva allegato in primo grado in merito alle sue condizioni ed abitudini di vita, nonché alla composizione e caratteristiche del suo nucleo familiare: in buona sostanza non aveva allegato circostanze idonee a fondare una personalizzazione del danno.
Liquidazione del danno patrimoniale
Il primo grado, attesa l’accertata incidenza, ad opera del CTU, dei postumi sulla capacità specifica del danneggiato in misura del 60%, si è attenuto alla massima secondo cui “il danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica, derivante da lesioni personali, deve essere valutato in quanto danno futuro, su base prognostica, anche a mezzo di presunzioni semplici, salva la determinazione equitativa, in assenza di prova certa del suo ammontare”.
Ha quindi disatteso le conclusioni della perizia di parte depositata, ritenendo equo liquidare il danno patrimoniale, pur sempre facendo riferimento agli unici elementi disponibili desumibili dalle allegazioni dell’attore, sulla base del presupposto che l’eventuale ripresa da parte del medesimo dell’attività in precedenza svolta [ristoratore], per le ragioni suddette, gli avrebbe consentito di trarre dalla stessa un reddito non superiore al quaranta percento di quello percepito prima della chiusura di essa. Sul punto hanno anche aggiunto i Giudici di appello che la liquidazione è del tutto congrua, sia pure in via presuntiva, e basata su dati di fatto documentati, posto che la vittima ha dimostrato di aver costituito un’impresa di ristorazione in Antrodoco nel corso del 2007 e di aver successivamente continuato nel marzo 2008 a svolgere l’attività di ristoratore in L’Aquila, attività cessata a causa del sisma (vedi visure registro imprese allegate alla CT contabile di parte).
Riflessioni sulla perdita di capacità lavorativa
La vittima sostiene, dinanzi alla Cassazione, che i Giudici di appello non avrebbero applicato i principi giurisprudenziali della materia nonostante fosse stata accertata la sussistenza del danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa specifica:
- a) la vittima quale danneggiato, non aveva dato prova di svolgere alcuna attività lavorativa al momento del sinistro (luglio 2009).
- b) la espletata CTU non aveva escluso la possibilità di esercitare il precedente lavoro (pizzeria al taglio), ma aveva semplicemente rilevato l’esistenza di disturbi fisici e psichici, correlati con il danno permanente attuale, che avrebbero potuto rendere l’attività lavorativa in gran parte gravosa ed usurante.
Distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale
Il danno di natura patrimoniale derivante dalla perdita di capacità lavorativa specifica richiede un giudizio prognostico sulla compromissione delle aspettative di lavoro in relazione alle attitudini specifiche della persona e al reddito perduto a causa dell’evento lesivo.
Altra cosa è il danno (non patrimoniale) della cenestesi lavorativa, di natura non patrimoniale, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente, neanche sotto il profilo delle opportunità, sul reddito della persona offesa, risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo.
La perdita di capacità lavorativa specifica
Ergo, quando si discorre di perdita di capacità lavorativa è necessario, anzitutto, il distinguo tra lesione patrimoniale e lesione non patrimoniale, in quanto solo la prima è la cosiddetta perdita di capacità lavorativa specifica. Con la locuzione “perdita”, appunto, si intende il guadagno da lavoro che la vittima ha perduto a causa dell’incidente.
Nel concreto, il Giudice di primo grado ha ritenuto accertato, sulla base della CTU, la presenza di postumi sulla capacità lavorativa specifica del danneggiato pari al 60%. E la Corte di appello ha ritenuto congrua e fondata, sia pure in via presuntiva, la liquidazione svolta in primo grado.
Ciò in quanto ha ritenuto provato che la vittima aveva costituito una impresa di ristorazione in Antrodoco nel corso del 2007 ed aveva continuato a svolgere l’attività di ristorazione in L’Aquila nel marzo 2008 e che detta attività era cessata a causa del sisma (occorso, come noto, nell’aprile 2009, cioè circa tre mesi prima del sinistro).
In altri termini, la Corte ha implicitamente ritenuto provato che, al momento del sinistro, il 17 luglio 2009, la condizione di disoccupato della vittima fosse soltanto temporanea e dipendente da causa esterna; e che lo stesso, una volta ripristinata l’agibilità dell’immobile, avrebbe ripreso la sua attività di ristorazione, se non fossero intervenute le riscontrate lesioni.
Intervento e conclusioni della Cassazione
Innanzitutto, ai sensi dell’art. 334 comma secondo c.p.c., la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale del Comune, e conseguentemente il ricorso incidentale tardivo della ditta perde ogni efficacia.
Quanto ai rapporti processuali con la ditta edile, il cui ricorso non viene esaminato per la sua inefficacia, ritiene la Corte che il profilo limitato, che esso riguardava, possa giustificare la compensazione delle spese.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, spiegato dal Comune di Antrodoco, ed il ricorso incidentale adesivo, spiegato dall’assicurazione. E, per l’effetto, condanna il ricorrente Comune di Antrodoco e la compagnia assicuratrice Le Generali, in via tra loro solidale, alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della vittima e dell’INPS.
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