Anomalie nel tracciato della gravida che riportavano significative decelerazioni del battito del feto.
La Corte di appello di Napoli ha rideterminato la condanna al pagamento delle spese di costituzione di parte civile e confermato la dichiarazione di colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 589 cod. pen., perché, nella qualità di primario del reparto di Ostetricia – Ginecologia, per colpa consistita in imprudenza e imperizia, cagionava la morte della neonata A.H..
Il travaglio e il ricovero
La gravida, alla quarantunesima settimana di gestazione, veniva ricoverata su disposizione del medico di turno, ginecologo di fiducia della donna, il quale riteneva che le condizioni fossero di prodromi di travaglio di parto. Il medico che subentrava nel turno, dott. F., comunicava alla donna che il parto non era imminente e le consigliava di riposare.
Con l’intensificarsi dei dolori, intorno alle 23:00, la donna rimaneva in sala travaglio per tutta la notte, monitorata dai tracciati che, tuttavia, non risultavano allarmanti. Alle ore 8:00 del giorno successivo, il dottor M., odierno imputato, iniziava il turno, con i dottori D.A. e G.A., unitamente all’ostetrica C.G. (cugina della madre della V.), e, alle ore 9:00, dopo aver visitato la partoriente, disponeva la somministrazione di ossitocina per stimolare le contrazioni, a seguito della quale aveva inizio la successiva fase del travaglio.
Monitoraggio e anomalie nel tracciato
Venivano effettuati due tracciati, il primo alle ore 9:44, con monitoraggio di 8 minuti, ove si riscontrava una lieve tachicardia del feto. Il secondo, alle ore 10:16, per la durata di 6 minuti. Intorno alle ore 11:00, a seguito della rottura delle acque, l’ostetrica C. aveva notato la fuoriuscita di liquido amniotico leggermente tinto di verde. Provvedeva, quindi, a comunicare tempestivamente la circostanza al dott. M., il quale le indicava di proseguire con il monitoraggio del travaglio di parto.
Dopo circa 15 minuti, l’ostetrica C. notava altresì un’anomalia nei tracciati che mostravano delle significative decelerazioni del battito del feto. Preoccupata della sofferenza fetale, l’ostetrica si rivolgeva ad una collega invitandola a chiamare urgentemente un medico di turno. Giunto in sala travaglio, il dott. G., stante la presenza di due decelerazioni registrate in una fase ancora iniziale di travaglio, non essendo ancora significativa la dilatazione, ordinava l’interruzione dell’ossitocina, convenendo con l’ostetrica sulla necessità di procedere immediatamente al taglio cesareo.
Decisione annotata nel diario clinico alle ore 11:30 e comunicata all’imputato il quale, tuttavia, decideva di effettuare personalmente una visita alla paziente, anche alla presenza del dott. D.. In quella sede, il dott. M., visitata la donna e valutati i tracciati, decideva di attendere il parto naturale, ritenendo che non vi fosse alcuna urgenza di procedere al parto cesareo.
Allarmata dalle decelerazioni, l’ostetrica C. richiedeva nuovamente l’intervento del dott. M. che, all’esito della visita, reputava che le anomalie del tracciato dipendessero da un inadeguato posizionamento della sonda. Dopo le ore 12:00, allertato dai colleghi, disponeva il trasferimento della gestante in sala parto al fine di tentare ancora il parto naturale, cosa che non avveniva.
La morte della neonata e il decorso
Il primario prendeva pertanto la decisione di eseguire il cesareo che veniva effettuato alle ore 13:02. Alla nascita, avvenuta alle ore 13:05, la bimba si presentava in condizioni gravissime, manifestando i segni di una grave ipossia e di una conseguente acidosi. Negli istanti immediatamente successivi le veniva aspirato dalla bocca e dalle prime vie aeree liquido tinto di meconio. Sottoposta ad intubazione oro tracheale, massaggio cardiaco e somministrazione di adrenalina, la neonata era poi trasferita all’ospedale Monaldi ove giungeva alle ore 17:20. Dopo un decorso di rianimazione in terapia intensiva, decedeva alle 20:35.
La condotta colposa dell’imputato
Entrambi i Giudici di merito hanno ravvisato, nella condotta dell’imputato, numerose violazioni delle regole cautelari dirette a prevenire l’evento in concreto verificatosi, costituito dalla acidosi fetale. Secondo i Giudici di appello, la condotta colposa dell’imputato: ha dapprima indotto il travaglio, mediante somministrazione di ossitocina, senza indicazioni e senza un recente monitoraggio; ha perseverato nell’omettere un continuo monitoraggio dopo detta somministrazione. Non ha sospeso il farmaco, pure a fronte delle anomalie nel tracciato critico delle 10:44; non ha messo in atto le manovre conservative, richieste dalle linee guida, a fronte della fuoriuscita di meconio e della presenza di tracciati patologici e, dalle ore 11:25, marcatamente patologici, ha imprudentemente interrotto il tracciato per 22 minuti dalle 11:52, e, infine, ha perseverato nella scelta di proseguire il travaglio, senza effettuare il taglio cesareo, fino alle 12:45, nonostante le sollecitazioni dei colleghi.
Il vaglio della Cassazione
Il medico imputato lamenta, per quanto qui di interesse, che il Tribunale si è limitato a conferire l’incarico peritale alla sola professoressa D.T.M.R. (medico legale), disattendendo pertanto il disposto normativo; lamenta anche la mancata designazione di un perito fornito di competenza nella materia anatomo-patologica.
Osserva la difesa che, dalla stessa consulenza del Pubblico Ministero, la causa della morte della neonata era emersa in modo confuso e contraddittorio e che le tematiche inesplorate avrebbero potuto portare alla luce la sussistenza di ulteriori condotte sanitarie imperite ed imprudenti, come quelle dei neonatologi e dei rianimatori intervenuti post partum, per sé sole idonee a determinare l’evento.
Le censure rigettate dalla Cassazione
Il ricorrente lamenta, infine, che la Corte territoriale abbia ritenute infondate le argomentazioni difensive circa un decorso alternativo che avrebbe condotto all’evento morte. Richiama la tematica della presenza di diffuse aree biancastre nella placenta, definite in sede di esame anatomopatologico come infarti multipli placentari con calcificazioni, ed afferma che questa può costituire una grave patologia preesistente, in grado di costituire un possibile fattore causale alternativo del decesso della neonata. Quanto alla somministrazione di ossitocina, la stessa fu effettuata non già per indurre il travaglio ma per incrementare le contrazioni uterine già presenti, derivandone pertanto che non sono pertinenti al caso di specie le linee guida citate dal perito relative all’induzione del travaglio di parto.
Insiste nell’affermare che la somministrazione di ossitocina sia stata appropriata, sussistendo infatti una lenta progressione del travaglio per inefficacia delle contrazioni uterine. Quanto all’inosservanza delle linee guida relativamente al monitoraggio cardiotocografico non continuo, ricorda come la non continuità del monitoraggio sia stata probabilmente dovuta all’interruzione di perdita di segnale; non si sarebbe, infatti, tenuto conto che la partoriente era obesa, condizione che rendeva obiettivamente difficile la valutazione delle contrazioni uterine del battito cardiaco fetale, e che la donna risultava insofferente alle contrazioni uterine e alla ridotta mobilità causata dalle fasce dei trasduttori, ragion per cui questi si spostarono.
La somministrazione di ossitocina fu opportunamente sospesa alle 11:30, ovvero in presenza di un tracciato cardiotocografico non rassicurante (erroneamente interpretato come patologico dal consulente del Pubblico ministero e del perito), sempre però con variabilità conservata e con pronto ritorno alla linea di base.
Tutte le censure vengono considerate infondate.