Perforazione del bulbo oculare (Cassazione penale, sez. IV, dep. 06/02/2023, n.4936).

Perforazione del bulbo oculare e responsabilità penale del Medico di Pronto Soccorso.

La Corte di Appello di Lecce, confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Lecce dichiarava il Medico responsabile del reato di cui all’art. 590 c.p., commi 1 e 2, con condanna alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile A.S.L., in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separato giudizio, con condanna ad una provvisionale di complessivi Euro 70.000,00.

La vicenda vede coinvolta una bambina che si recava al pronto soccorso dell’ospedale per una caduta accidentale domestica cui seguiva una ferita al mento.

Dall’accesso in pronto soccorso emergeva “riferita ferita LC regione mentoniera accidentale nella propria abitazione” e all’esame obiettivo risultava “EO neurologico nella norma. Piccola ferita LC regione mentoniera”; la bambina era stata affidata al Medico di turno e sottoposta ad intervento di suturazione della ferita al mento; al termine di tale intervento la piccola aveva cominciato a piangere gridando “l’occhio, l’occhio, mi è andato qualcosa nell’occhio”; quando la madre aveva chiesto al Medico cosa fosse successo, quest’ultimo si era già spostato dal punto d’intervento e si stava lavando le mani; l’infermiera aveva detto di non aver visto nulla e intanto la bambina non riusciva ad aprire l’occhio e piangeva. Il Medico, mentre compilava il referto, aveva detto alla madre che sicuramente, dopo aver tagliato il filo, con la coda del filo aveva sfiorato l’occhio, mentre la bambina precisava di aver sentito cadere qualcosa nell’occhio. La bambina era stata sottoposta a visita subito dopo dallo stesso Medico che aveva instillato una goccia nell’occhio; era stata accompagnata nuovamente al pronto soccorso nel pomeriggio e invitata a ritornare il giorno dopo.

Il giorno successivo veniva visitata da altro Medico che decideva di inviarla a Lecce per una consulenza specialistica, posto che l’ospedale non disponeva di un reparto di oculistica; nel referto redatto dal secondo Medico risultava “iperemia occhio destro”. La bambina veniva sottoposta a visita oculistica che rendeva diagnosi “ODX piccola ferita corneale periferica non perforante”.

Successivamente veniva visitata da altro Oculista per perdurante sintomatologia di forte dolore all’occhio, fastidio, rossore, bruciore, e veniva riscontrata una cataratta corticale, indicativa del fatto che qualcosa aveva colpito il cristallino dell’occhio della minore.

Il Medico di PS (il primo che visitava la bambina) propone ricorso per cassazione ritenendo che la sua responsabilità sarebbe stata affermata sulla base di una mera presunzione, consistente nella coincidenza tra la conclusione della sutura e l’insorgenza della percezione dolorosa da parte della bambina e nella perfetta compatibilità tra la tipologia di lesione e lo strumento nella disponibilità del medico (ago da sutura particolarmente sottile).

Sarebbe stato materialmente impossibile che nell’attimo in cui la donna si accingeva ad invitare l’altra figlia ad entrare nella sala in cui si era svolto l’intervento si sia verificato quanto asserito, ossia: taglio del filo, perforazione dell’occhio, posizionamento di ago, filo residuo e portaaghi nel relativo contenitore, e spostamento del Medico presso il lavandino. Ritiene illogico, il ricorrente, che la reazione della bambina si sia limitata al pianto, trattandosi di reazione piuttosto compatibile con lo sfioramento dell’occhio da parte del filo di sutura, cosa ben diversa dal perforare il bulbo oculare con un ago.

Altrettanto illogica e apodittica, sempre secondo il ricorrente, sarebbe l’affermazione secondo la quale la perforazione di 3 millimetri riscontrata nell’occhio della bambina sarebbe stata causata anche sfiorando accidentalmente l’occhio con l’ago ricurvo di sutura. Non risulta esaminata l’incidenza causale dell’ipotizzato movimento inconsulto della bambina nel momento in cui veniva ultimato l’intervento. Tre Medici differenti, dopo la sutura in questione, avevano visitato la bambina senza rilevare alcuna perforazione, pertanto, il Giudice doveva esplorare una spiegazione alternativa e indicare le ragioni per cui la stessa non potesse essere compatibile con il fatto.

Gli Ermellini osservano che il ricorso censura la struttura logica del ragionamento della sentenza impugnata, secondo cui le conclusioni delle singole inferenze indiziarie, basate su elementi privi di efficacia rappresentativa diretta, avevano costituito i segmenti di un più ampio ragionamento in cui le conclusioni iniziali si erano poste quali premesse delle conclusioni successive.

L’operazione di lettura complessiva dell’intero compendio probatorio di natura indiretta, che non si esaurisce nella mera sommatoria degli indizi, ma esige la loro valorizzazione in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo, deve essere preceduta dall’operazione propedeutica, da cui non può prescindersi, che consiste nella valutazione separata dei singoli elementi di prova indiziaria, che devono essere presi in esame e saggiati individualmente nella loro, intrinseca, valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità richiesto dalla legge, che ciascuno di essi deve possedere.

 Nell’ambito di tale metodo è dirimente il dato della certezza dell’indizio, che costituisce espressione del requisito normativo della precisione codificato dall’art. 192 c.p.p., comma 2, nel senso che ciascun indizio deve corrispondere a un fatto certo, e cioè realmente esistente e non soltanto verosimile o supposto.

Ebbene, viene asserito che la descrizione del fatto fornita dalla madre della bambina sarebbe inverosimile in quanto è materialmente impossibile che il fatto si sia svolto nell’arco di qualche attimo, ma non risulta confutata la certezza dell’indizio costituito dalla concomitanza tra l’uso dell’attrezzatura per sutura sopra il volto della bambina da parte del sanitario e la reazione di pianto della piccola paziente, che lamentava che qualcosa le fosse entrato nell’occhio.

In sintesi, il Medico ricorrente propone una lettura alternativa del compendio istruttorio, inammissibile in Cassazione a fronte di una pronuncia che ha fornito spiegazione logica delle differenti diagnosi ritenendo che, lungi dal mettere in dubbio la coerenza della seconda diagnosi con i disturbi manifestati dalla minore nei giorni precedenti, essa fosse meramente indicativa del fatto che il primo oculista si fosse limitato ad una visita superficiale.

In definitiva, i Giudici di merito hanno esaminato il referto redatto all’ingresso della bambina al pronto soccorso, dal quale emergeva la sola ferita lacero-contusa in regione mentoniera in assenza di altri sintomi, l’assenza di qualsivoglia fastidio all’occhio all’ingresso in pronto soccorso, le dichiarazioni ritenute attendibili e credibili della madre della minore, la concomitanza tra l’intervento di sutura e la sintomatologia dolorosa manifestata dalla bambina all’occhio destro; la diagnosi formulata dall’Oculista curante di cataratta corticale. Da questa serie di dati certi, con valutazione esente da contraddizioni o manifesta illogicità, dunque non sindacabile, hanno tratto con ragionamento inferenziale la conclusione che la perforazione riscontrata dai Medici all’occhio destro della bambina fosse stata causata da una manovra imperita dell’imputato nel corso dell’intervento di suturazione della ferita al mento.

Tale spiegazione risulta l’unica compatibile con la natura delle lesioni riscontrate all’occhio destro della bambina.

Conclusivamente, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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