La personalizzazione del danno non costituisce mai un automatismo, ma richiede l’individuazione di specifiche circostanze ulteriori rispetto a quelle ordinarie. Spetta al giudice far emergere, e valorizzare, le specifiche circostanze di fatto che superino le conseguenze “comuni” già compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari

La vicenda

Il Tribunale di Grosseto adito, in funzione di giudice del lavoro, aveva accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale proposta dal dipendente di una banca per le vessazioni subite sul luogo di lavoro (mobbing); aveva, invece, respinto le altre domande i personalizzazione del danno e quelle dirette al riconoscimento di progressivi superiori inquadramenti e delle conseguenti differenze retributive.

La Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di prime cure, dichiarava il diritto del lavoratore all’inquadramento nella qualifica di vice capo-ufficio dal 1.5.1990 e alle conseguenti differenze retributive, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla maturazione delle singole voci di credito al saldo, confermando nel resto la sentenza impugnata.

La pronuncia veniva, tuttavia, impugnata da quest’ultimo con ricorso per Cassazione. Tra le altre censure, il lavoratore lamentava l’omessa personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale, avendo i giudici di merito applicato solo il punto tabellare delle tabelle di Milano senza alcuna personalizzazione sia sul danno biologico permanente sia temporaneo; nonché l’omessa motivazione sul danno esistenziale e la mancata applicazione delle nuove Tabelle di Milano.

La personalizzazione del danno

A proposito della c.d. “personalizzazione del danno”, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito (Cass. n. 14364 del 2019) che la personalizzazione è un’operazione” che consente al giudice di valorizzare il danno patito dalla vittima; il giudicante è tenuto a motivarla, facendo riferimento alle risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio. In particolare, vanno evidenziate le circostanze di fatto, tipiche della fattispecie concreta, tali da superare le conseguenze ordinarie e da giustificare una liquidazione maggiorata, rispetto a quella forfettizzata in base ai criteri tabellari (Cass. n. 2193 del 2017).

Il giudice deve individuare, dunque, le conseguenze che qualunque vittima di lesioni analoghe subirebbe; e poi accertare eventuali conseguenze peculiari del caso specifico. Le prime vanno monetizzate con un parametro uniforme, le seconde con un criterio ad hoc scevro di automatismi (Cass. n. 16788 del 2015). Capovolgendo la prospettiva, si può affermare che non sia ammessa alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento, qualora le conseguenze sofferte siano quelle ordinarie secondo l’id quod plerumque accidit (Cass. n. 7513 del 2018 (ord.)). La personalizzazione, infatti, non costituisce mai un automatismo, ma richiede l’individuazione di specifiche circostanze ulteriori rispetto a quelle ordinarie.

I valori tabellari sono, infatti, destinati alla riparazione dei pregiudizi normalmente patiti da qualunque vittima di lesioni analoghe.

Spetta al giudice far emergere, e valorizzare, le specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso concreto, che superino le conseguenze “comuni” già compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari.

Ebbene, il pregiudizio specifico si distingue da quello ordinario per “l’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore, o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sè tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un’ottica che, ovviamente, superi la dimensione “economicistica” dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità” (Cass. n. 21939 del 2017).

I chiarimenti della Cassazione

La Cassazione ha anche chiarito che ai fini della personalizzazione del danno morale non rileva la mera sofferenza derivante dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del danneggiato, ricollegabili ad esempio, al dolore di comune riferibilità e, quindi, non apprezzabile in una prospettiva di solidarietà relazionale; bensì rileva la lesione di interessi che assumano consistenza sul piano del disegno costituzionale della vita della persona. È necessario che il danno, di cui si chiede la personalizzazione, presenti dei profili di concreta riferibilità e inerenza all’esperienza personale, specifica e irripetibile. diversamente opinando, si realizzerebbe una duplicazione delle poste risarcitone, infatti, le conseguenze ordinarie che discendono da una lesione (di quella specifica entità e riferite a un soggetto di quella specifica età anagrafica) sono integralmente risarcite nella liquidazione del danno alla persona operata attraverso il meccanismo tabellare.

Quindi, secondo la giurisprudenza, il risarcimento forfettariamente individuato, in base ai meccanismi tabellari, può essere aumentato esclusivamente nel caso in cui il giudice ravvisi circostanze di fatto del tutto peculiari, idonee a superare le conseguenze ordinarie nella liquidazione, il giudicante è tenuto a considerare tutte le conseguenze patite dalla vittima, tanto nella sua sfera morale (ossia nel rapporto che il soggetto ha con sè stesso), quanto in quella dinamico-relazionale (che riguarda il rapporto del soggetto con la realtà esterna) e tale accertamento, unitario ed omnicomprensivo, deve avvenire in concreto (Cass. n. 20795 del 2018).

La decisione

Ebbene, quanto al caso in esame, sul punto la sentenza impugnata aveva ritenuto adeguata la liquidazione del danno sulla base delle sole tabelle “milanesi”, che si fondano su di un concetto omnicomprensivo del danno biologico, inteso anche come danno estetico e danno alla vita di relazione, evocando “il carattere moderato del disturbo accertato”.

Per i giudici della Suprema Corte (Sezione Lavoro, sentenza n. 10989/2020), il giudice dell’appello aveva dato sufficientemente conto del percorso logico giuridico seguito per giungere alla statuizione impugnata, che in quanto sorretta da una motivazione adeguata, era incensurabile in sede di legittimità.

In ordine alla doglianza relativa all’utilizzazione di tabelle non aggiornate, sono stati giudicati fondati i rilievi della banca resistente, i giudici della Cassazione hanno rilevato come il ricorrente non avesse indicato gli elementi dai quali desumersi l’uso di tabelle obsolete, nè gli effetti che l’eventuale applicazione delle tabelle vigenti nel 2014 avrebbe avuto sulla liquidazione del danno. Per tutte queste ragioni, il ricorso è stato complessivamente rigettato.

Avv. Sabrina Caporale

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