Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità ovvero lesione non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento

La vicenda

A causa di un brutto incidente stradale perdeva la vita un uomo, zio delle due attrici le quali agivano in giudizio al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti (nella specie, il danno esistenziale) per la perdita del proprio congiunto. Quest’ultimo rappresentava il loro punto di riferimento, quale “capo famiglia”, e pertanto, a seguito del decesso avevano sofferto ansia, depressione, insonnia e avevano viste mutate in peius le proprie abitudini di vita.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Avezzano respingeva l’istanza risarcitoria, ritenendola sfornita di prova nell’an e nel quantum, rilevando, peraltro, che l’avvenuta corresponsione della somma di 25.000,00 euro in favore di ciascuna delle attrici da parte della compagnia assicurativa potesse considerarsi idonea a tacitare ogni pretesa.

La corte d’appello de L’Aquila confermava la decisione impugnata, dichiarando esclusivo responsabile del sinistro il conducente del veicolo assicurato e rigettava l’appello con riferimento al quantum.

Il ricorso per Cassazione

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso le originarie parti attrici, lamentando il fatto che nell’effettuare la c.d. personalizzazione del danno non patrimoniale, in base alle circostanze del caso concreto e con riferimento alle tabelle milanesi, il giudice di merito non avesse specificato in motivazione, le circostanze che secondo l’id quod plerumque accidit lo avrebbero indotto ad applicare i minimi; rappresentando, inoltre, che la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale è sindacabile in sede di legittimità, laddove l’ammontare quantificato si prospetti palesemente non congruo rispetto al caso concreto, in quanto irragionevole e sproporzionato per difetto o per eccesso rispetto a quanto previsto nelle tabelle milanesi, oppure quando il giudice di merito non espliciti i criteri assunti a base de procedimento valutativo, o ancora, quando nell’individuare la somma concretamente attribuibile nel range tra il minimo e il massimo stabiliti in via astratta dalle tabelle, non espliciti i parametri di giudizio e le circostanze che abbia considerato per addivenire alla quantificazione.

La Sesta Sezione Penale della Cassazione (ordinanza n. 23914/2019) ha respinto il ricorso affermando che “la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (attualmente secondo il sistema c.d. del punto variabile, c.d. sistema tabellare) può essere annullata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari.

Al contrario, “le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità ovvero lesione non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento”.

La decisione

In quest’ottica, è stato ribadito che, ai fini della c.d. personalizzazione del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente patirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse all’esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame – che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari – e legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, meritevoli, in quanto tali, di tradursi in una differente (maggiore e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (Cass. n. 21939/2017; n. 23469/2018; n. 2788/2019).

Ma come già evidenziato, nel caso in esame non erano risultate accertate tali peculiari circostanze anche alla luce di quanto emerso dalle prove testimoniali.

Avv. Sabrina Caporale

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