Postino senza patente in scooter, legittimo il licenziamento

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Il postino viene licenziato perché circolava privo di patente in corso di validità e con il casco non allacciato. La Corte d’appello dichiara il licenziamento legittimo e la Cassazione conferma (Cassazione civile, sez. lav., 26/09/2024, n.25724).

La Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato legittimo il licenziamento del postino, perché circolava privo di patente in corso di validità e con il casco non allacciato.

La violazione del CCNL

In particolare, la Corte di Milano ha ritenuto che l’avere il postino guidato il mezzo aziendale consapevole di essere privo di abilitazione (poiché la patente di guida gli era stata sospesa da mesi), senza comunicare la circostanza al datore di lavoro, né chiedere di essere adibito a diverso servizio, è condotta consapevole sussumibile nella norma di cui all’art. 54 comma VI lett. c) del CCNL, che sanziona con il licenziamento senza preavviso la condotta di chi incorra in “violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla Società o a terzi”.

Oltre a questo, i Giudici di secondo grado hanno accertato anche il “forte pregiudizio” alla società o a terzi, che può essere anche potenziale, poiché “il fermo amministrativo per tre mesi del ciclomotore e l’impossibilità di adibire il lavoratore al servizio di consegna con l’uso di ciclomotore” sono circostanze dalle quali oggettivamente potrebbe derivare un pregiudizio alla regolarità del servizio, potendosi verificare un’indisponibilità, anche temporanea, di mezzi e personale nell’ambito della zona cui era adibito il lavoratore.

Il ricorso in Cassazione

Il portalettere si rivolge alla Corte di Cassazione, che dichiara l’inammissibilità.

Secondo la tesi del lavoratore, la Corte avrebbe travalicato i limiti dei motivi del reclamo affermando il dolo del reclamato che avrebbe preferito mantenere Poste Italiane all’oscuro della sospensione della patente per evitare una sanzione disciplinare, senza che tale elemento doloso fosse stato chiaramente individuato nel reclamo di Poste Italiane (che aveva ravvisato il dolo nell’aver taciuto consapevolmente la circostanza della sospensione della patente per scongiurare il collocamento in aspettativa).

Ciò che correttamente la sentenza di appello ha accertato è il dolo nel comportamento del lavoratore cioè il silenzio serbato consapevolmente per evitare uno svantaggio. Di talché sono irrilevanti i motivi sottostanti tale consapevolezza, ossia se il suo silenzio fosse finalizzato ad evitare una conseguenza a lui sfavorevole (“indebito vantaggio”), una sanzione disciplinare o il collocamento in aspettativa.

In primo luogo, come pure eccepito da Poste Italiane, in relazione al motivo in esame, il motivo, formulato come violazione o falsa applicazione, tra l’altro, del CCNL di riferimento, non risulta prodotto il contratto collettivo. Al riguardo è stato più volte chiarito che nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo.

La Corte di Milano, con motivazione adeguata e coerente con la giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che l’aver continuato a guidare il motoveicolo dal novembre 2019 all’aprile 2020 senza la patente in corso di validità, costituiva una condotta intenzionale e foriera di pregiudizio per la società datrice di lavoro.

Le corrette motivazioni della Corte di Milano

Anche con riguardo al “pregiudizio”, la Corte milanese ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali secondo cui, proprio con riferimento alla norma contrattuale che viene in evidenza, occorre rimarcare che quest’ultimo, secondo i criteri civilistici generali in tema di danno, non deve necessariamente coincidere con una diminuzione economicamente valutabile, poiché “il carattere patrimoniale del danno riguarda non solo l’accertamento di un saldo negativo nello stato patrimoniale del danneggiato ma anche l’incidenza in concreto di una diminuzione dei valori e delle utilità (suscettibili secondo una valutazione tipica, che si riflette sul quantum risarcitorio, di commisurazione in denaro) di cui il medesimo può disporre, costituendo il patrimonio, ai fini in considerazione, quell’insieme di beni, valori e utilità tra loro collegati sotto il profilo e mediante un criterio funzionale.
Ragionando in tal senso ne consegue che il carattere della patrimonialità, che attiene al danno, e non al bene leso dal fatto dannoso, non implica sempre e necessariamente un esborso monetario, né una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato” (in tal senso viene richiamata Cass. Sez. 2, sentenza n. 9740 del 05/07/2002).

Il pregiudizio alla regolarità del servizio

Nel caso di specie i Giudici di appello, argomentando sul pregiudizio, hanno evidenziato come “il fermo amministrativo per tre mesi del ciclomotore e l’impossibilità di adibire il lavoratore al servizio di consegna con l’uso di ciclomotore sono circostanze dalle quali oggettivamente potrebbe derivare un pregiudizio alla regolarità del servizio, potendosi verificare un’indisponibilità, anche temporanea, di mezzi e personale nell’ambito della zona cui era adibito il reclamato” e che “Lo stesso uso di ciclomotori da parte del dipendente avrebbe potuto esporre la società a responsabilità civili nell’ipotesi di un incidente stradale a mezzo del ciclomotore di proprietà di Poste”.

In presenza di una adeguata motivazione svolta dalla Corte di appello, in ordine alla gravità delle condotte e alla proporzionalità della sanzione, risulta corretta la declaratoria di legittimo licenziamento.

Avv. Emanuela Foligno

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