Può il consenso della vittima minorenne ai rapporti sessuali essere valutato dal giudice al fine di riconoscere la circostanza attenuante della minore gravità del fatto?
La condanna per rapporti sessuali con minorenne
La Corte d’appello di Roma aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Tivoli con la quale l’imputato era stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all’art. 609-quater, comma 1, nn. 1 e 2, c.p., per aver avuto, in più occasioni, rapporti sessuali con un una minore degli anni quattordici. Tali fatti erano stati commessi approfittando sia della relazione domestica esistente tra lui e la ragazza, in quanto l’imputato era convivente della nonna materna, sia del fatto che la ragazza gli era stata affidata per ragioni di istruzione, essendo egli suo maestro di ballo presso una locale scuola di danza.
La Corte territoriale aveva confermato la sentenza del giudice di primo grado anche con riferimento alla pena inflitta, consistente in 7 anni di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, cioè la persona offesa e la madre.
Contro tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando il vizio di motivazione della decisione impugnata che era fondata esclusivamente, sulle dichiarazioni rese a suo carico dalla vittima, a sua detta, prive di riscontri esterni; nonché la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento della circostanza ad effetto speciale legata alla minore gravità dei fatti a lui contestati, avendo la ragazza sempre prestato il suo consenso ai rapporti sessuali.
Il giudizio di legittimità
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Per i giudici della Suprema Corte (n. 4395/2020) la sentenza impugnata non era viziata sotto il profilo motivazionale, laddove aveva attribuito valenza determinante al solo racconto della vittima; secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale le dichiarazioni della persona offesa, cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. – possono essere legittimamente poste a sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Cass. n. 43278/2015).
Nel caso in esame, la Corte capitolina aveva dato atto di aver compiuto, con il necessario scrupolo, la verifica sia della credibilità della persona offesa sia dell’attendibilità intrinseca di quanto riportato dalla minore in relazione agli atteggiamenti che l’imputato aveva avuto nei suoi confronti; attendibilità e credibilità supportate anche dal fatto che non vi erano situazioni di astio o di malanimo da parte della persona offesa nei confronti di quest’ultimo che avrebbero potuto, in astratto, costituire terreno di maturazione di un intento calunniatorio; altri rilievi esterni avevano, inoltre, confermato la validità delle dichiarazioni della minorenne, quali ad esempio, i tabulati telefonici attestati un intensissimo traffico di conversazioni e di messaggi intercorso fra i due soggetti, cui peraltro, l’imputato non aveva saputo dare una spiegazione alternativa a quella retraibile dalla sussistenza di un particolare vincolo personale con la vittima, e dell’episodio verificatosi allorquando la nonna della minorenne, sorprese i due in condizioni “quantomeno equivocamente imbarazzanti in un locale sottoscala ove i due si erano appartati”
Anche in ordine al secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante della minore gravità, il Supremo Collegio ha ritenuto di non poter condividere l’assunto difensivo.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale “in tema di atti sessuali con minorenne, ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609-quater, comma quarto, c.p., è necessario considerare tutte le caratteristiche oggettive e soggettive del fatto che possono incidere in termini di minore lesività rispetto al bene giuridico tutelato, tra cui il consenso della persona offesa al rapporto sessuale, l’esistenza di una relazione sentimentale con l’imputato e l’assenza di costrizione fisica” (cass. n. 18320/2016); orientamento più volte messo in discussione da opinioni contrastanti. In particolare in una occasione si è ritenuto che il consenso della vittima minorenne al rapporto sessuale, pur se inidoneo ad escludere la configurabilità del reato di violenza sessuale, può essere valutato dal giudice al fine di riconoscere la circostanza attenuante della minore gravità, precisandosi che tale operazione deve essere compiuta comunque nel quadro di una valutazione globale del fatti, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età (Cass. n. 52380/2016).
L’orientamento condiviso dalla Suprema Corte
La Corte di Cassazione con la sentenza in commento, ha ritenuto tuttavia di attribuire limitata efficacia applicativa a tale ultimo orientamento, preferendo un diverso indirizzo giurisprudenziale formulato in termini più rigorosi e affermando che “nel caso di imputazione avente ad oggetto la commissione di atti sessuali con minorenne, ha poco significato ai fini della individuazione della minore o maggiore gravità del fatto, fare riferimento al grado di coartazione della volontà della persona offesa, posto che questo requisito non può, per definizione, essere presente neppure in minimo grado, dal momento che l’eventuale coercizione del soggetto passivo del reato o anche la mancata acquisizione del suo consenso, integrerebbe gli estremi della violazione dell’art. 609-bis c.p. a prescindere dalla minore o maggiore età di tale soggetto(come è testimoniato dal fatto che anche l’ipotesi di violenza sessuale può essere aggravata in funzione dell’età del soggetto passivo del reato)”.
La decisione
Nel caso in esame la corte distrettuale di Roma aveva congruamente motivato le ragioni per cui il fatto contestato non poteva essere ritenuto rientrante nel novero di quelli di minore gravità, essendo emersi plurimi fattori che deponevano in senso opposto a tale qualificazione; infatti sia per la loro diutrnità, sia per l’obiettiva invasività delle condotte che l’imputato aveva posto in essere, sia per l’intensità del dolo espresso dal prevenuto che non si era fatto scrupolo di profittare, oltre che della funzione di istruttore di danza da lui svolta nei confronti della ragazza, anche della “serrata frequentazione domestica” che gli aveva dell’ambiente familiare della minore, in ragione del rapporto sentimentale da lui intessuto con la nonna della vittima, la cui fiducia egli aveva pertanto traditi, erano emerse le condizioni di conclamata gravità del fatto ostative ad una diversa collocazione ai fini della qualificazione dei rapporti sessuali.
Per tutte queste ragioni il ricorso è stato rigettato e l’imputato condannato anche alle spese di giudizio.
La redazione giuridica
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