In caso di sinistro stradale all’ammontare del danno risarcibile deve essere detratto il valore capitale dell’assegno di invalidità erogato dall’INPS

Il caso di sinistro stradale trattato dal Tribunale di Castrovillari (sentenza n. 480/2020) è interessante sotto due profili:

1)  il superamento del valore di “piena prova” solitamente attribuito al Verbale di intervento delle Autorità;

2) il computo in deduzione, ai fini del danno liquidato, dell’assegno di invalidità contributiva e di altri importi erogati dall’INPS per il medesimo sinistro.

Questa è la massima del Tribunale calabrese: “dall’ammontare del danno risarcibile deve essere detratto il valore capitale dell’assegno di invalidità erogato dall’INPS, attese la funzione indennitaria assolta da tale emolumento e la possibilità per l’ente previdenziale di agire in surrogazione nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore”.

A causa di un sinistro stradale verificatosi nell’anno 2013 tra un veicolo e un motociclo, nel corso del giudizio veniva dichiarata la responsabilità del conducente dell’autoveicolo, nonostante la Polizia Municipale intervenuta sul luogo non riuscisse a stabilire l’esatta dinamica del sinistro.

E’ stata data piena rilevanza alle dichiarazioni testimoniali in luogo del Verbale di intervento delle autorità intervenute, superandosi, quindi il valore di “piena prova” del Verbale e la presunzione ex art. 2054 c.c.

Difatti il Tribunale evidenzia: “del tutto insignificante, invece, è la relazione della polizia municipale intervenuta a seguito del sinistro, nella quale, dopo aver dato conto della versione fornita dal Gabriele, gli operanti dichiarano testualmente che “non si è potuto stabilire l’esatta dinamica del sinistro. La valutazione dei danni riportati e la posizione dei veicoli non forniscono elementi oggettivi tali da poter attribuire specifiche responsabilità”.

Sulla liquidazione del danno il Tribunale specifica, con riferimento agli importi percepiti dal danneggiato da parte dell’Ente Previdenziale per il sinistro, che gli stessi devono essere compiutamente provati.

Al riguardo osserva che: “secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, “la circostanza che il danneggiato già abbia realizzato un vantaggio attraverso una prestazione assistenziale in relazione al medesimo fatto illecito, e che questo vantaggio possa limitare od escludere il danno, non è oggetto di una eccezione in senso stretto: essa, infatti, non può essere ricondotta all’ipotesi “pura” di cui all’art. 1242 c.c. in materia di “compensazione”, in quanto attiene alla stima del danno, e gli elementi costitutivi di esso sono rilevabili d’ufficio dal giudice (Cass. 12565/2018)”.

Ne consegue che la fattispecie non soggiace all’onere di tempestiva allegazione, né di tempestiva deduzione, ma resta onere di chi invoca la compensatio dimostrarne il fondamento, ed in caso di insufficienza di prova, le conseguenze ricadranno sul convenuto che resterà tenuto al risarcimento integrale.

In altri termini, grava su parte convenuta l’onere di provare eventuali importi incamerati dal danneggiato per il medesimo evento, da detrarre dall’importo risarcitorio. In assenza di una valida prova sul punto tali importi non potranno essere presi in considerazione.

Viene, quindi, esclusa la compensazione su una parte degli importi erogati dall’Inps di cui la compagnia d’Assicurazione convenuta non ha fornito piena prova, mentre viene detratta altra somma percepita sempre dall’Inps a titolo di pensione di invalidità contributiva dichiarata dallo stesso danneggiato.

Per tali ragioni il Tribunale condanna il convenuto e la compagnia assicuratrice a rifondere al danneggiato il danno non patrimoniale, detratta la somma di € 3.352,00 già percepita.

Avv. Emanuela Foligno

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