Complicanze postoperatorie insorte dopo una sleeve gastrectomy. La paziente aveva sviluppato una fistola gastrocutanea a seguito dell’intervento, ma tutti i gradi di giudizio confermano come non sussistente alcun legame eziologico tra l’operazione e l’insorgenza della fistola ascrivibile alla condotta dei medici operanti, ovvero al controllo della fase postoperatoria (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 3 ottobre 2025, n. 26639).
I fatti
La paziente effettua un bendaggio gastrico nell’anno 2007 in una struttura sanitaria diversa da quella chiamata in giudizio, al fine di ottenere una riduzione del proprio peso corporeo, in quanto affetta da obesità generale. Poi si sottopone il 21/01/2009 a un’operazione di rimozione del bendaggio e di contestuale sleeve gastrectomy presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, per la tubulizzazione dello stomaco.
Dopo un ulteriore ricovero, nel marzo 2009 a causa della recidiva di un ascesso subfrenico, presso la stessa Azienda ospedaliera, e ulteriori diversi periodi di degenza presso altre strutture sanitarie, quali il policlinico dell’Università di Tor Vergata in Roma, risultando affetta, a seguito della predetta operazione, da fistola gastrocutanea con il ripetersi di perdite di liquidi purulenti e conseguente impossibilità di condurre un’esistenza normale senza l’aiuto dei familiari, cita in giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni.
Il Tribunale rigetta la domanda e la Corte di appello, espletato un supplemento di perizia dagli stessi Consulenti già nominati in primo grado, rigetta il gravame (sent. n. 360/2022).
L’intervento della Cassazione
Viene lamentata la errata ripartizione dell’onere della prova in materia di responsabilità medica, per la mancata applicazione dei precetti degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. in quanto la Corte avrebbe erroneamente ritenuto non assolto da parte della paziente l’onere della prova del danno subito e per avere i Giudici di merito illegittimamente posto l’onere della prova del nesso causale a carico della parte che non ne era onerata.
Il primo motivo è inammissibile in quanto con esso si chiede, sotto l’indicazione della violazione e (o) della falsa applicazione delle norme di diritto e segnatamente degli artt. 115 codice di rito civile e 2697 c.c., un’integrale rivalutazione del materiale probatorio, peraltro concordemente esaminato dai giudici di primo e di secondo grado, così radicando una censura sull’apprezzamento e la valutazione del materiale probatorio che non può essere utilmente portata in sede di legittimità.
La errata distribuzione degli oneri probatori si configura solo nell’ipotesi in cui il Giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni. È necessario denunziare che il Giudice, contraddicendo espressamente, o implicitamente, la regola codicistica, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.
Egualmente, la S.C. non può dare seguito alle allegazioni della paziente in riferimento al consenso informato asseritamente avvenuto su di un modulo prestampato e generico, e per avere i Giudici del merito invertito l’onere probatorio ritenendo che spettasse al paziente dimostrare di non aver ricevuto idonee informazioni in ordine all’operazione alla quale si sarebbe sottoposta.
Sleeve gastrectomy e complicanze postoperatorie
Le argomentazioni della paziente non intaccano l’idoneità della operazione di slegatura del bendaggio preesistente e di realizzazione della sleeve gastrectomy, in quanto alcun danno risulta causalmente ricollegabile a detto percorso operatorio, che anzi aveva consentito di sottoporre la donna a un’unica anestesia generale, invece che a due distinte e, presumibilmente, a breve distanza l’una dall’altra.
Le censure si soffermano (errando) sulla genericità della terminologia utilizzata nel modulo di consenso, in quanto tra le possibili conseguenze dell’operazione di sleeve gastrectomy sono menzionate le “lesioni viscerali” e non, invece la fistola, che in concreto si è poi concretizzata. E’ chiaro che quanto sostenuto dalla paziente è inammissibile al vaglio perché censura una valutazione, recepita dalla Corte territoriale con coerente motivazione, effettuata dai CTU che cade su un punto di stretto merito e non di diritto. Ad ogni modo, la sentenza di appello è motivata sul punto in maniera coerente.
I Giudici di appello hanno affermato, aderendo correttamente alla CTU, che il trattamento antibiotico venne praticato ad ampio spettro alla paziente sin dalla fase preoperatoria, come da protocolli medici vigenti in relazione a interventi chirurgici maggiori, quali, appunto, la sleeve gastrectomy, ritenuta di media complessità, e venne successivamente, dopo l’insorgenza di episodi febbrili, ulteriormente incrementato e mirato e la terapia antibiotica condusse in breve tempo alla scomparsa della febbre. Anche in questo caso i Giudici di appello non hanno omesso di esaminare le singole specifiche circostanze, e hanno ritenuto in modo adeguato e coerente che non fosse sussistente alcun legame eziologico tra l’operazione e l’insorgenza della fistola ascrivibile alla condotta dei medici operanti ovvero al controllo della fase postoperatoria.
Avv. Emanuela Foligno





