Rubare l’identità di qualcuno e rendere impossibile la vita di una persona minandone la sfera privata con un click. Sottrarre l’identità al tempo dei «social networks» è un fatto increscioso all’ordine del giorno. Macchiarsi di quest’azione nel 2004, quando «Facebook» era appena nato, poteva rappresentare un fatto più che eclatante.

In questa vicenda c’è molto di più: parliamo di due siti «Digiland» e «Shadowgate», sui quali sono stati pubblicati da un uomo due messaggi, collegati a due schede personali della stessa donna a carattere marcatamente sessuale. La donna ha visto il suo nome utilizzato a sproposito e i suoi diritti cancellati, praticamente la sua esistenza stravolta. I dati (nome, cognome, numero di telefono cellulare, luogo di nascita, indirizzo e-mail, residenza) sono stati citati in annunci a carattere esplicitamente erotico. L’autore del fatto era stato chiaro in un sms: diceva alla protagonista che si sarebbero rivisti presto e non sarebbe stato piacevole. Si leggeva in uno degli scritti pubblicati sul sito che la signora in questione – attenzione, non davvero lei, poiché l’uomo utilizzava i suoi dati a sua insaputa – avrebbe dato conto di un tradimento, inventato, che la stessa avrebbe subìto.

Dopo un anno i profili sono stati cancellati. Intanto la donna, è stata costretta a cambiare numero di telefono e perchè costantemente minacciata da troppe attenzioni di uomini, per ovvie ragioni. Il tutto accompagnato dalla fobia, più che giustificata, di essere rintracciata presso il proprio domicilio. Al suo indirizzo di posta elettronica le venivano recapitate foto di membri maschili e sullo stesso indirizzo, contattata per incontri sessuali, poiché uno dei siti web – che pure hanno con correttezza rimosso gli scritti incriminati una volta informati – era dedicato proprio a questo.

Il giudizio di primo grado, del quale si è occupato l’avvocato Salvatore Mazzotta, è stato avviato nel 2008 con azione risarcitoria motivata da questo episodio. Era stata promossa la causa civile per una ragione. Il procedimento penale a fine 2007 si era svolto d’ufficio (il Commissariato di Martinafranca aveva delegato la procura di Taranto, ndr) e l’autore del fatto era stato condannato soltanto per sostituzione di persona. Pena leggera per l’uomo che aveva a suo carico soltanto un’ammenda di poche centinaia di euro data l’applicazione dell’indulto. Non basta: la vita intera di O.D. era stata messa in discussione ed erano stati lesi nome, immagine, privacy e riservatezza. Si configurava il reato di diffamazione. Oggi si parla di danno esistenziale diretto alla vita di relazione, per il quale dal 2013 si prevede un indennizzo.

Il Tribunale di Taranto ritiene «Gravi, precisi e concordanti» gli elementi a carico del danneggiante, che si era difeso dichiarando che alcuni suoi amici avrebbero utilizzato il computer per le pubblicazioni nel periodo relativo ai fatti e – a tutto ammettere ma senza nulla concedere – i messaggi avevano carattere scherzoso e goliardico e non assumevano un significato univoco. I danni non patrimoniali sono stati accordati in 50 mila euro: il secondo grado è stato curato per la signora dall’avvocato Vitaliano Esposito e la causa è giunta in Cassazione, dove con l’apporto dell’avvocato Pietro Sciumè, difensore della donna, il ricorso di colui che ha pubblicato i messaggi incriminati è stato giudicato inammissibile. Così viene rubata l’identità di una persona.

a cura di Isabella Lopardi

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