Ai fini della configurazione del delitto di stalking non è necessario che lo stato di ansia si sia tradotto anche in un mutamento delle abitudini di vita

Con Ordinanza il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria confermava la decisione del GIP del Tribunale di Reggio Calabria che applicava la misura del divieto di avvicinamento per il delitto di stalking nei confronti di una donna.

Avverso tale Ordinanza lo stalker proponeva ricorso chiedendone l’annullamento per carenza di gravi indizi di colpevolezza e per illogicità della motivazione in ordine al presupposto delle esigenze cautelari.

L’uomo lamenta l’insussistenza del nesso causale e che il Riesame abbia posto alla base del proprio provvedimento la convinzione della reale responsabilità dei fatti ascritti.

Nello specifico l’imputato sostiene di avere fornito adeguata dimostrazione della casualità degli incontri con la persona offesa, ma che il Tribunale riteneva che la casualità degli eventi non giustificasse gli appostamenti, le assillanti richieste e gli insulti che la vittima asseriva di aver subito.

Tali comportamenti contestati, inoltre, risulterebbero solo dalle dichiarazioni della vittima, mentre le dichiarazioni rese dai testimoni circa gli appostamenti sotto casa della vittima, non possono valere come riscontro poiché l’abitazione della vittima dista 150 metri da quella dell’imputato.

La Suprema Corte (Cassazione penale, sez. V, Sentenza n. 30917 del 23 ottobre 2020), ritiene il ricorso inammissibile poiché finalizzato a una nuova valutazione di merito.

Al riguardo sottolinea che alla Corte è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito.

Sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.

Ciò precisato, le doglianze inerenti la verificazione dell’evento del reato e del nesso di causalità tra la condotta dell’uomo e l’evento, sono inammissibili.

Tuttavia, viene ribadito che ai fini della configurabilità del reato di stalking è sufficiente la realizzazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dalla norma, essendo per giurisprudenza consolidata, sufficiente il solo perdurante e documentato stato d’ansia ingenerato nella vittima.

Non è rilevante, quindi, che il Tribunale non abbia fatto riferimento a un mutamento delle abitudini di vita della vittima.

Inoltre, evidenziano gli Ermellini, il Tribunale ha ritenuto che la condotta dell’uomo fosse idonea a determinare lo stato d’ansia della vittima facendo corretta applicazione del consolidato principio secondo cui “la prova dell’evento del delitto, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata”.

Ergo ne deriva che non è necessario che lo stato di ansia si sia tradotto anche in un mutamento delle abitudini di vita.

Relativamente alle doglianze inerenti la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla vittima osserva la Corte che le condotte persecutorie sono cessate proprio per effetto dell’applicazione della misura cautelare stessa.

Di talchè la doglianza è del tutto inammissibile.

Il tempo decorso dall’applicazione della misura non può essere posto a base di un giudizio di attenuazione delle stesse, tale da giustificarne la sostituzione, ma costituisce soltanto un dato di novità valutabile insieme ad altri elementi idonei ad indurre una eventuale modifica della complessiva situazione relativa allo status libertatis.

Oltretutto, alla data in cui il Tribunale ha adottato il provvedimento impugnato era trascorso appena un mese, ossia un periodo estremamente ridotto per poter assumere rilevanza ai fini indicati dal ricorrente.

Il ricorso viene integralmente respinto e l’uomo viene condannato al pagamento delle spese processuali e all’ammenda in favore della Cassa di euro 3.000,00.

Avv. Emanuela Foligno

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