Assolto l’uomo imputato di stalking per avere fatto pressioni sulla ex compagna al fine di spingerla alla disintossicazione da sostanze stupefacenti

La Suprema Corte (Cass, Pen., sez. V,  sentenza n. 30740 del 4 novembre 2020), conferma l’assoluzione dell’imputato dal reato di stalking in quanto non è sussistente l’intento persecutorio  ed è quindi privo di logica giuridica considerare colpevole di atti persecutori il soggetto che spinge in tutti i modi l’amica per aiutarla a disintossicarsi dalla droga.

L’uomo in primo grado  veniva ritenuto colpevole di atti di stalking in danno della ex compagna per avere, con pressanti azioni, insistito affinchè quest’ultima intraprendesse un percorso di disintossicazione dalle sostanze stupefacenti.

I Giudici d’Appello, invece, assolvono l’uomo ed evidenziavano il movente che spingeva l’uomo a incalzare -seppur insistentemente- la ex compagna allo scopo di farla disintossicare. Tale comportamento viene ritenuto  privo di dolo persecutorio poiché finalizzato, appunto, alla disintossicazione.

In particolare, la Corte di merito evidenziava che tale finalità era del tutto incompatibile con intenti persecutori e che, quindi, fosse del tutto carente il dolo.

Difatti,  ai fini della configurazione del reato di stalking non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, ma la condotta incriminata deve indurre nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

Sebbene, possa dirsi astrattamente molesto il comportamento dell’uomo, i Giudici di merito escludono che lo stesso fosse persecutorio e che la donna abbia patito stati d’ansia e temuto per la propria incolumità.

La donna non condivide il ragionamento della Corte e impugna in Cassazione lamentando che la ricostruzione del movente è del tutto differente dall’elemento psicologico del reato.

Gli Ermellini respingono il ricorso e confermano la correttezza della decisione del Giudice di Appello.

E’ legittima l’assoluzione dell’uomo poiché scaturente dalla considerazione, raggiunta all’esito dell’attività istruttoria,  che nel periodo temporale contestato e successivo alla fine della relazione sentimentale delle parti,  la donna era tossicodipendente e l’ex compagno, a sua volta affrancatosi da quella stessa condizione, era animato dal desiderio di volere aiutare a tutti i costi la donna a disintossicarsi.

Rilevante -evidenzia la Corte-, la versione dei fatti riferita dal padre dell’uomo e confermata anche dagli sms scambiati con la donna dai quali si evince che la stessa continuava a mantenere un legame affettivo con l’ex compagno e confidava sul suo appoggio, senza manifestare oppressione né timore.

Per tali ragioni risulta evidente la mancanza dell’intento persecutorio nei comportamenti dell’uomo che, ad ogni modo, non ha procurato nella donna né stato di ansia, né timore per la propria incolumità.

Il ricorso viene respinto e la donna viene condannata al pagamento delle spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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